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Scoppia la guerra tra Giulio e Silvio

SIlvio Berlusconi e il simbolo del Pdl

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Siamo alla resa dei conti. Quasi alla rissa. Difficile immaginare come Berlusconi e Tremonti possano recuperare il loro rapporto. Soprattutto dopo quello che si sono detti negli ultimi tre giorni. Tutto comincia ad Arcore, lunedì, quando Giulio Tremonti arriva prima di Umberto Bossi nel vertice stabilito da giorni. Lo ha chiesto il Cavaliere. Aveva chiesto di vedersi a quattr'occhi. Le diversità di vedute sulla politica economica sono ormai evidenti e riassumibili per semplicità in due linee contrapposte. Il premier vuole che il ministro allarghi i cordoni della borsa e consenta di procedere con la riduzione della tasse; l'altro intende mantenere l'assoluta politica del rigore e anzi procedere a nuovi pesanti tagli. A far salire la tensione ci si mettono le voci. Al Cavaliere è stato riferito che il ministro da giorni sta lavorando ai fianchi Bossi, gli sta chiedendo di chiedere a Silvio di fare un passo indietro e formare un nuovo governo con ovviamente lui stesso, Tremonti, al comando. Non conta ormai ciò che è vero e ciò che è falso. Conta che tra i due è venuto meno il rapporto di fiducia. Quando si trovano faccia a faccia Berlusconi sbotta, Tremonti per la prima volta risponde, alza la voce, si ribella. Silvio non ci sta, se le dicono di tutti i colori. «Te la farò pagare», si sente urlare. Di sicuro Giulio è scosso. Racconterà ad alcuni deputati amici: «Mi accusa di cose incredibili. Mi ha detto che l'ho fatto pedinare». Dopo arriva Bossi e prova a mediare. Ma dura poco. Il martedì va peggio, le schermaglie tra i due continuano. Nuovo vertice della notte tra martedì e mercoledì. Tremonti arriva scortato da Bossi e Calderoli. Si ragiona di politica stavolta. Ma le linee restano due. Il titolare dell'Economia insiste perché si proceda subito a una manovra pesante, da 40 miliardi. Il premier non ci pensa proprio: «Il Paese è affamato, non possiamo chiedere altri sacrifici». Giulio risponde secco che lo impone l'Europa, che non si può aspettare. Silvio vuole un rinvio: «Non possiamo dare ancora una mazzata agli italiani, se poi si va a votare nel 2012 non rivinceremo mai». Il titolare del dicastero di via XX settembre insiste, altrimenti si fa la fine della Grecia. Le agenzie di rating ci hanno già avvertito. Ricorda gli impegni presi con l'Europa e il pareggio di bilancio nel 2014, obiettivo ribadito a Van Rompuy appena qualche giorno fa. Il Cav non ne vuole sapere: «Lo farà il nuovo governo nel 2013, dopo le elezioni». Bossi media, condivide la linea del Cavaliere, spinge - ma in maniera soft - perché si arrivi a una riduzione delle tasse. Berlusconi lancia l'affondo: «Giulio, la manovra prima dell'estate sarà leggera. Se non vuoi farla così, non ti preoccupare: vuol dire che se ne occuperà qualcun'altro». Tremonti, a differenza del passato, non minaccia le sue dimissioni perché sa che il quadro è cambiato: stavolta potrebbero essere accettate. La Lega non provocherebbe la crisi. Ormai i berlusconiani sono convinti che il loro ministro più importante abbia stretto un patto di ferro anche con pezzi dell'opposizione. Che lavora per mandare il Cavaliere via da Palazzo Chigi. Vuole andarci lui con l'appoggio di D'Alema e Bersani in accordo con De Benedetti. Da settimane notano come Repubblica tratti sempre con i guanti bianchi il buon Giulio. Non sono solo due linee ma sembrano essere due progetti divergenti. Quel che è certo è che il leader vede i vertici del Pdl a pranzo. Prima incontra Antonio Martino, liberal spinto, che gli ricorda come si possa fare il taglio delle tasse anche subito e senza aggravi per le casse dello Stato. Perché le riduzioni del Fisco, in tutti i Paesi dell'Occidente, hanno sempre portato un maggior gettito. E offre la sua soluzione: se Giulio non si muove, facciamo una azione parlamentare presentando una legge che preveda la riduzione dell'Irpef a due sole aliquote. Il capo del governo non vuole perdere altro tempo. Parlando ai suoi, ammonisce: «O si capisce che tutti siamo sulla stessa barca e si lavora nella stessa direzione o è tanto meglio andarcene tutti a casa». In serata, la situazione precipita. Tremonti sale al Quirinale e spiega la situazione allarmante dei conti. Napolitano, si sa, condivide in pieno.

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