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La sbornia di Bersani

Pierluigi Bersani

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Umberto Bossi ha dunque deciso di prendere lui la guida della campagna elettorale per il ballottaggio a Milano dando del «matto», o quasi, a Giuliano Pisapia, il candidato della sinistra a sindaco che ha sorpassato alla grande Letizia Moratti nel primo turno. Vedremo se il leader leghista riuscirà a fare meglio del Cavaliere, che nel primo tempo della partita ambrosiana ha avuto forse coraggio ma non fortuna. Se anche il secondo turno dovesse andare male, la Lega avrebbe ben poco da rimproverare al presidente del Consiglio. E ben poche ritorsioni da minacciare o annunciare, come le opposizioni si aspettavano sino a ieri con l'ansia e la fame degli avvoltoi. Certo, quel «matto», per quanto poi ritrattato senza convincere più di tanto chi lo aveva ben ascoltato in televisione, ha lasciato a prima vista un po' interdetti, visti i vantaggi procurati al candidato della sinistra milanese dai toni usati nel primo turno da Berlusconi e dalla Moratti. Ma la follia sta prendendo la mano un po' a tutti, a Milano e altrove. Lo dimostra anche l'uso che sta facendo il segretario del Pd Pier Luigi Bersani del successo conseguito all'ombra della Madonnina, peraltro con un candidato diverso da quello sul quale egli aveva originariamente puntato. Dalla prima vittoria di Pisapia il maggiore partito d'opposizione ha ricavato addirittura l'esigenza di cavalcare i referendum del 12 giugno promossi soprattutto da Antonio Di Pietro. Che è così riuscito a imporgli l'agenda, come del resto ha già fatto a Napoli, dove quel che resta del Pd, dopo tutti i voti che ha perso con il proprio concorrente, corre nel ballottaggio per il dipietrista Luigi de Magistris. Da quei referendum, fra le proteste e gli sfottò del loro principale promotore, Bersani si era sostanzialmente defilato nelle scorse settimane un po' ritenendoli d'improbabile riuscita per la ormai consolidata disaffezione del pubblico da questo tipo di prove elettorali, e un po' volendo proteggere il capo dello Stato dai perversi effetti di uno di essi: quello contro il cosiddetto legittimo impedimento. Che è una legge rapidamente promulgata dal presidente della Repubblica, nonostante le piazzate di Di Pietro, nel tentativo -poi frustrato dalla Corte Costituzionale- di mettere il presidente del Consiglio al riparo dai processi durante l'esercizio del mandato di governo. Di quella legge è rimasto ben poco dopo i tagli apportati dalla Corte, come dimostrano i vecchi processi ripresi e quello nuovo appena cominciato contro Berlusconi. E quel poco che è rimasto decadrebbe da solo in autunno, senza bisogno del referendum. Che pertanto è un'arma spuntata, utile solo alla gogna mediatica di Berlusconi, e del presidente della Repubblica che promulgò la legge con tanto di comunicato esplicativo delle sue buone ragioni. Ma ormai del capo dello Stato, forse anche a causa delle insofferenze recentemente mostrate da Giorgio Napolitano per i limiti e le contraddizioni di una sinistra riformista solo a parole, importa ben poco a Bersani dopo la sbornia milanese del primo turno.  

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