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«Dopo i sottosegretari parlino le Camere»

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seguedalla prima di ALESSANDRO BERTASI E perciò «spetta ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio valutare le modalità con le quali investire il Parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il Governo». Una bacchettata «istituzionale» partita dal Colle e che Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta sentito dall'Adnkronos, interpreta così: «La richiesta di investire il Parlamento non si traduce automaticamente nella sottoposizione del governo a un nuovo voto di fiducia». Anzi: «È giusto che il presidente del Consiglio informi il Parlamento del cambiamento nella configurazione della sua composizione derivante da un cambiamento della maggioranza parlamentare». Eppure è proprio l'intera maggioranza ad aver appreso la nota del Quirinale come un fulmine a ciel sereno tanto che è il capogruppo al Senato del Pdl, Maurizio Gasparri, a ribattere: «Riteniamo che il Parlamento ogni giorno verifichi l'esistenza di una maggioranza. Questa riflessione non mi pare comporti conseguenze operative». Sulla stessa linea il leader del Carroccio, Umberto Bossi: «Il premier ha la competenza per nominare i sottosegretari e la legge dice che può farlo. Perchè, allora, si dovrebbe passare dal Parlamento?». È invece l'opposizione che ha colto l'occasione per sferrare un duro attacco alla maggioranza. Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, ha ribattuto: «Gli italiani non capiscono se c'è stata la nomina di un'accozzaglia di sottosegretari, oppure è nata una nuova maggioranza con il Parlamento che si riduce a luogo di compravendita di deputati e senatori». Più diretto il punto di vista di Fli. Italo Bocchino infatti ha usato la parola «ribaltone», dimenticando forse quello compiuto dai futuristi qualche mese fa quando 35 parlamentari eletti nel Pdl hanno deciso di passare all'opposizione: «Il ribaltone è da condannare politicamente, ma è parlamentarmente possibile, fermo restando che a questo punto serve forse un voto parlamentare che legittimi il governo ribaltonista». Un ennesino voto di fiducia che Mirabelli non ritiene indispensabile. Infatti lo stesso ha voluto spiegare che il tutto potrebbe risolversi anche con una semplice «comunicazione del Capo del governo, alla quale non è detto debba per conseguenza seguire automaticamente un voto di fiducia, che, con una mozione, potrebbe invece essere richiesto dai partiti all'opposizione». Una ipotesi, però, come osserva il costituzionalista, «più in punta di diritto che politica, visto che l'opposizione andrebbe presumibilmente incontro a una sconfitta in Parlamento, se è vero che la maggioranza si è allargata rispetto al voto di fiducia precedente». Poi il Presidente della Repubblica ha voluto anche affrontare il problema della pubblicizzazione dei quesiti referendari in Rai. Un argomento che in un'altra nota, Napolitano ha detto di aver affrontato con il presidente e il direttore generale della Rai - Paolo Garimberti e Lorenza Lei. Un incontro dal quale è emerso che la Rai, già da ieri sera, ha iniziato la messa in onda degli spot informativi sui temi referendari che terminerà lunedì 13 giugno. Un successo per tutti i promotori del referendum come il leader dell'Idv Antonio di Pietro: «Dopo l'ennesimo tentativo di truccare le carte e di truffare gli italiani con il regolamento beffa varato l'altro giorno dalla Commissione di Vigilanza, che rinviava di ulteriori quindici giorni l'informazione della tv pubblica sugli imminenti referendum, era doveroso l'intervento del Capo dello Stato».

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