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Nessuno si fida di Islamabad

Un 'immagine aerea diffusa dalla Cia del

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Osama Bin Laden è rimasto nascosto nell'ormai famoso compound di Abbottabad per almeno cinque o sei anni. Troppo tempo. Il nascondiglio più ricercato al mondo si trovava a meno di due chilometri di distanza dalla caserma «Kakuk» dell'esercito pakistano. Troppo poco lontano. Ecco perché Washinghton non si è fidata di Islamabad. E dei suoi servizi segreti. Gli Stati Uniti non hanno informato il Pakistan «perché erano preoccupati che potesse danneggiare l'intera operazione, avvisando il bersaglio», ha ammesso ieri il capo della Cia, Leon Pennetta. Così, all'indomani del blitz che ha consentito l'uccisione del leader di Al Qaeda, i leader mondiali cominciano a interrogarsi sugli errori commessi da Islamabad. Inesperienza o complicità? Sbadataggine o decisione di cambiare registro, accettando un compromesso con gli Usa per cercare di uscire dal pantano della decennale guerra in corso in Afghanistan? Non sono in pochi a pensare a uno scambio fra la fine della protezione a Bin Laden e uno stop all'uso dei droni nei territori tribali pachistani ma nessuno è in grado di dare conferme. Intanto i grandi sorrisi, le strette di mano e l'ottimismo che hanno segnato ieri nella capitale pakistana la ripresa dei colloqui trilaterali sulla sicurezza nella regione fra Usa, Afghanistan e Pakistan, non sono bastati a fugare i dubbi occidentali sui servizi d'intelligence asiatici. L'Europa vuole spiegazioni. Il ministro degli Esteri francese Alain Juppè è il primo ad ammettere che «la posizione del Pakistan manca di chiarezza. Ho un po' di difficoltà a immaginare che la presenza di una persona come Bin Laden in un compound importante in una città relativamente piccola sia potuta passare completamente inosservata», spiega. Da Londra gli fa eco David Cameron. Il primo ministro inglese è ancora più duro: «Il fatto che Bin Laden viveva in una grande casa in un'area popolata suggerisce che aveva una vasta rete di appoggio in Pakistan - spiega - Non conosciamo l'estensione di questa rete, ma è giusto che ci si ponga questa domanda e noi lo faremo». Dichiarazione dopo dichiarazione, la situazione diplomatica si complica. Sono gli stessi servizi segreti di Islamabad ad ammettere il proprio «imbarazzo» per la paradossale situazione sfuggita al loro controllo ad Abbottabad, mentre il governo centrale comincia a non gradire i sospetti internazionali. I rappresentanti dell'esecutivo e gli 007 non vengono risparmiati neanche da accese critiche interne: in tanti accusano il governo di aver permesso agli Stati Uniti di violare la sovrenità pakistana e parte subito un comunicato che precisa che il raid condotto contro Bin Laden non deve diventare un precedente per future azioni statunitensi nel Paese. Anche la Farnesina mostra i suoi dubbi: i servizi segreti di Islamabad «hanno riconosciuto la gaffe e la defaillance per non aver tenuto sotto sorveglianza il rifugio del leader di Al Qaeda e ne prendo atto - spiega Franco Frattini - anche se - ammette il ministro degli Esteri - non conosco cosa c'è dietro». Alla fine, è da Washinghton che arriva un segnale di disgelo. Quello con il Pakistan per gli Stati Uniti è un rapporto «complicato ma importante - spiega il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney - speriamo che la cooperazione nella lotta al terrorismo possa continuare».

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