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Fini dimentica il suo paese

Gianfranco Fini

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Puntuali e sinistri come gli sciacalli, o gli avvoltoi, le opposizioni non si lasciano scappare neppure il doppio dramma della nuova immigrazione prodotta dalla guerra in Libia, e dalle crisi dei Paesi limitrofi, per sfruttarlo cinicamente contro il governo. Che potrà avere fatto tutti gli errori che volete, ammesso e non concesso che abbia commesso davvero tutti quelli che gli vengono contestati dagli avversari, ma ha pur sempre il diritto di poter contare sul senso generale di solidarietà e di responsabilità nazionale nei momenti di emergenza. È evidente che tale è la situazione nella quale si trova oggi non il governo ma il Paese, tutto intero, di fronte a ciò che proviene dall'Africa. E purtroppo anche dalle frontiere del nord, vista la disinvoltura con la quale la Francia, tra la complicità e l'indifferenza degli altri Stati dell'Unione Europea, è tornata ad innalzare le sue come muri inviolabili. Mancano solo il cemento e i cavalli di Frisia del muro di Berlino. Intanto spieghiamo perché il dramma della nuova ondata d'immigrazione è doppio. Lo è per i disperati in fuga dalle loro terre, spesso inghiottiti dal mare prima ancora che possano raggiungere le nostre coste sui barconi carichi della loro miseria e della spregiudicatezza criminale di chi li sfrutta. Lo è per il nostro Paese perché, contrariamente alla demagogica rappresentazione che ne fanno le opposizioni, esso non è economicamente e socialmente in grado di contenere da solo tutta l'immigrazione che gli si rovescia addosso. Non c'è dibattito parlamentare o televisivo in cui non si sentano gridare le opposizioni, a gole gonfie di indignazione, contro il ministro dell'Interno e, più in generale, contro il governo per l'incapacità di prevedere e quindi prevenire i fatti. In quest'azione forsennata di protesta, fra le opposizioni c'è solo la gara a chi le spara più grosse. E spesso a vincerla è persino la parte che vorrebbe essere considerata la più moderata, come l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Dove evidentemente i nervi hanno ceduto alla paura di vedersi arrivare elettoralmente tra i piedi, a insidiare la leadership del fantomatico terzo polo, il ferrarista Luca Cordero di Montezemolo. Ma, Dio buono, tutti quelli che gridano sono gli stessi che solo poche settimane fa avevano dato del matto e del provocatore proprio al ministro dell'Interno. Che aveva osato parlare di immigrazione «biblica» in arrivo dalle coste africane. Persino il buon Giorgio Napolitano si era lasciato convincere dalle opposizioni che Maroni desse i numeri. E gli aveva metaforicamente tirato le orecchie parlando anche lui di inutili, anzi pericolosi «allarmismi». In una simile condizione, deriso come un mitomane o quasi, nessun ministro dell'Interno, e relativo governo, poteva allestire un piano sufficiente di prevenzione. Il cui presupposto principale è la coesione nazionale. Sono tristemente indimenticabili le smorfie di sufficienza, se non di disgusto, degli avversari del governo quando Maroni ed altri esponenti del governo e dei gruppi parlamentari della maggioranza proposero alle opposizioni una «regia comune» per fronteggiare la situazione. Lor signori del no erano più presi allora, come ancora oggi, da tutt'altre faccende, prime fra tutte le vicende processuali, vecchie e nuove, del presidente del Consiglio. È solo di qualche sera fa l'ultima esibizione televisiva di quel vessillo dell'opposizione che sembra purtroppo diventato il presidente della Camera Gianfranco Fini, tutto impegnato, in collegamento registrato con il salotto di Ballarò, ad anticipare come sarebbe finita con la Francia la partita che stava per aprirsi, e si è poi aperta, dei nostri permessi temporanei per motivi umanitari ai profughi tunisini francofoni che, approdati in Italia, vorrebbero tentare di ricongiungersi con familiari ed amici oltr'Alpe. C'era in quella previsione del no francese una certa aria di sufficienza critica verso il governo, il suo governo, il governo cioè del suo Paese, che non gli faceva francamente onore, come oppositore e tanto meno come terza carica dello Stato, per ripetere la qualifica della quale si riempiono la bocca i suoi amici per respingere, con lui, la sola ipotesi che possa rinunciarvi.

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