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La fine del Colonnello comincia il 17 febbraio con la giornata della collera

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Ilgiorno successivo, il 17 febbraio, dopo duri scontri, sei persone sono uccise a Bengasi e due ad Al Baida. In giornata viene diffuso su Facebook un appello per scendere il piazza il giorno dopo in un «giorno della collera contro il regime». Scontri, feriti e arresti anche a sud di Tripoli a Zenten. Il 18 febbraio il bilancio della rivolta supera quota quaranta morti. Epicentro è ancora Bengasi. Nella Capitale continuano invece a scendere in piazza i sostenitori di Gheddafi. Il 19 febbraio, dopo 5 giorni di contestazioni, risultano uccise 80 persone. a Bengasi 12 manifestanti perdono la vita, uccisi dalle forze dell'ordine, mentre assaltano una caserma. Sanguinosi scontri anche a Misurata, 200 km a est della capitale. Il 20 febbraio la contestazione si trasforma in aperta insurrezione nell'est del Paese. I morti negli scontri sono ormai oltre 100. A Tripoli i manifestanti attaccano anche posti di polizia e sedi dei comitati rivoluzionari. In serata parla al paese Saif al islam, figlio di Gheddafi: evoca lo spettro di una sanguinosa guerra civile ma promette riforme. Il 21 febbraio si diffonde la voce di una fuga di Gheddafi. Nel pomeriggio, durissimi scontri a Tripoli: l'aviazione interviene contro la folla. Il bilancio dei morti supera quota trecento. In tarda serata Gheddafi si presenta in tv e smentisce le voci di fuga: «Non sono in Venezuela». Dagli Usa il segretario di Stato Clinton chiede di porre fine al «bagno di sangue». Dal Qatar il teologo di origine egiziana Youssef al-Qardawi ha emesso una fatwa nella quale si invita l'esercito libico a uccidere Muammar Gheddafi. Il 22 febbraio Gheddafi appare in tv e annuncia che non lascerà il Paese e lotterà «fino all'ultima goccia di sangue». Le Nazioni Unite condannano la repressione, chiedendo la «fine immediata» delle violenze, mentre la Lega araba sospende la partecipazione della Libia. Nell'est del Paese, l'opposizione prende il controllo, con i militari schierati con i manifestanti. Si combatte a Misurata, al Zawiyah e Zura. Il 24 febbraio Gheddafi ribadisce in tv di non voler lasciare il comando e di voler sconfiggere i ribelli. Il petrolio raggiunge i 120 dollari a barile. Il 25 i ribelli prendono il controllo di Misurata; a Tripoli l'esercito spara sulla folla. Il 26 febbraio l'Onu stabilisce che Gheddafi potrà essere processato dal tribunale penale internazionale e l'embargo per la vendita di armi alla Libia, recepito il 28 dall'Ue. Il 2 marzo le forze leali a Gheddafi tentano la controffensiva mentre il rais minaccia «migliaia di morti» se Nato e Usa attaccherrano e critica duramente l'Italia. Il 3, il 4 e il 5 marzo si combatte duramente a Brega, Ras Lanuf e Zawiyah. Scontri a Tripoli. Prosegue la controffensiva di Gheddafi, con i ribelli costretti a ripiegare verso est. Il 10 marzo le forze fedeli al regime riconquistano Zawiyah e, provvisoriamente, Ras Lanuf, mentre da Bruxelles la Nato frena sull'imposizione di una no-fly zone aprendo a un possibile pattugliamento navale, peraltro già operativo. L'11 marzo il vertice Ue riconosce il Consiglio Nazionale di Bengasi come interlocutore politico mentre Francia e Gran Bretagna ribadiscono la disponibilità a raid aerei mirati contro il regime di Tripoli. Le truppe lealiste avanzano verso est e verso Bengasi. Nuovi raid aerei ad Al-Uqaila, a est di Ras Lanuf. Il 14 marzo le forze di Gheddafi riconquistano Zuara, a ovest, e a est ormai sono alle porte Ajadabiya, ultima roccaforte prima di Bengasi.

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