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E alla Camera il Pdl si squaglia

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La Camera dei deputati durante la votazione della manovra finanziaria

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Doveva essere il mese del rilancio dopo la grande paura di fine 2010. La maggioranza che torna ad allargarsi, il governo che riprende il cammino delle riforme, Silvio Berlusconi che vede allontanarsi il voto anticipato e lavora per arrivare al 2013. Invece, a giudicare da queste prime settimane, marzo è destinato a diventare un mese di «penitenza» quasi che la concomitanza con la Quaresima cristiana sia più di una semplice casualità. La maggioranza ha infatti iniziato la sua personalissima Via Crucis fatta di «cadute» parlamentari. È andata sotto il 9 marzo. Si è ripetuta il 15 marzo. E ieri è stata battuta ben due volte nelle votazioni sull'istituzione del Garante per l'infanzia. Prima un emendamento del Pd è passato con 271 sì e 262 no, poi è stata la volta di una modifica proposta dall'Udc (268 sì, 262 no). Decisive le assenze nelle file del Pdl: 42 deputati di cui 25 in missione. Anche se è impossibile non notare che, in entrambe le votazioni, sono rimasti vuoti gli scranni occupati da Claudio Scajola e Saverio Romano. Il primo ha più volte manifestato, proprio in questi giorni, un certo malumore per la gestione del partito. Il secondo, in predicato per diventare ministro, anche ieri, nonostante il colloquio tra Berlusconi e Giorgio Napolitano sul possibile rimpasto di governo, è rimasto a bocca asciutta. E non è difficile leggere la sua assenza come un segnale per il premier. Non a caso Romano ha convocato una conferenza stampa per stamattina alle 10.30 insieme alla componente parlamentare dei Popolari di Italia domani mentre ieri sera ha partecipato, cosa piuttosto insolita, all'ufficio di presidenza del Pdl. Chissà che la cosa non l'abbia un po' placato. Anche perché nel pomeriggio il Pid aveva lanciato un segnale ancora più forte assentandosi in gruppo e portando l'esecutivo sull'orlo della terza caduta. In discussione c'erano le mozioni dell'opposizione sull'election day e solo il voto del Radicale eletto nel Pd Marco Beltrandi ha evitato il disastro (276 no contro 275 sì). Fossero passate, infatti, difficilmente il governo avrebbe potuto evitare di fare un passo indietro accorpando amministrative e referendum. Invece, ce l'ha fatta per il rotto della cuffia. Il capogruppo del Pd Dario Franceschini si è infuriato e attaccato Beltrandi, ma all'appello, oltre a quello del radicale, mancavano altri voti (2 Democratici, 2 Idv, 8 Fli). Sullo sfondo resta comunque il dato politico. Anche perché l'esecutivo è riuscito ad evitare solo in extremis un'ultima figuraccia. I Responsabili hanno deciso, dopo le rassicurazioni del ministro Paolo Romani, di ritirare la propria mozione sulle rinnovabili che poteva contare sul voto delle opposizioni. «Romani - ha spiegato il capogruppo Luciano Sardelli - si è detto disponibile ad incontrare il nostro gruppo per spiegare dettagliatamente la proposta». Trovata l'intesa la Camera ha votato un testo bipartisan sottoscritto da tutti i partiti. E la giornata di passione è finita.

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