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Il made in Italy pensa al futuro

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Petrolio

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Business is business. Ovvero gli affari sono affari e, in attesa che il quadrante dell'Africa del Nord, trovi un nuovo equilibrio politico, i gruppi italiani già pensano al ritorno in quei paesi. Dove molte sono le commesse già avviate per milioni di euro ed elevate restano le interconnessioni con il sistema industriale italiano. Insomma qualunque sarà la guida politica alla fine dei sommovimenti di questi giorni, la corsia preferenziale per il made in Italy verso il Nord Africa, resterà intatta. A indicare questa linea strategica è stato ieri il presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini che in un'intervista al Sole 24 Ore ha detto: «Chiunque governerà a Tripoli vorrà i prodotti Finmeccanica». Business is business come detto. La tecnologia per la difesa sviluppata dal gruppo di Piazza Montegrappa è tra le migliori al mondo. Ed è difficile pensare che un eventuale cambio di regime si accompagni anche alla chiusura dei rapporti con un fornitore come Finmeccanica. «La Libia- ha spiegato ancora Guargaglini - prima di questa rivolta era per noi un mercato significativo. Siamo impegnati con un ordine per il controllo elettronico delle frontiere, abbiamo un importante appalto nel segnalamento ferroviario, abbiamo quasi completato le forniture di un contratto di 20 elicotteri da trasporto ottenuto a suo tempo, 17 già consegnati. Ansaldo Breda stava partecipando con buone possibilità di successo ad una gara per treni passeggeri e merci da assegnare entro l'anno. Tutto ora si è bloccato... Non sappiamo cosa succederà ma pensiamo che qualunque governo futuro avrà bisogno di nostri prodotti». Per ora anche i conti della società specializzata nei sistemi di difesa non dovrebbero temere contraccolpi dalla crisi in Libia. «Le nostre imprese - conclude ancora Guarguaglini - hanno messo solo 700 milioni di euro di acquisizioni nel budget dei prossimi 5 anni, un cifra prudenziale rispetto alla possibilità di avere fino a 3,5 miliardi di contratti dalla Libia in tale periodo. Il blocco temporaneo di questo mercato rappresenta sicuramente una perdita, ma non è una tragedia». Fiducia nel futuro, dunque. Che è il leit-motiv anche di un altro colosso dell'industria italiana e cioè l'Eni. Il gruppo petrolifero è oggi il primo operatore sui giacimenti libici sia di gas sia di petrolio. E questo non da ieri ma dal 1959. Anche dopo la rivoluzione del 1969, con la quale l'attuale Raìs prese il potere nazionalizzando le attività petrolifere, la società italiana è tornata nella sabbie libiche a estrarre greggio. Competenze di alto livello e rapporti di vicinanza hanno dato sempre un vantaggio a Eni a Tripoli. Anche oggi i vertici dell'azienda italiana, rimpatriati i dipendenti per abbassare ogni possibile livello di rischio, sembrano tranquilli su un possibile rientro quando le acque di Tripoli saranno più calme. (Ieri intanto 10 dipendenti della Bonatti spa sono riusciti a varcare il confine ed entrare in Tunisia). L'ad Paolo Scaroni nei giorni scorsi ha spiegato: «Guardiamo al futuro con una certa tranquillità. Abbiamo vissuto la vicenda egiziana: il ricambio della leadership è avvenuto senza traumi, senza che noi perdessimo un solo barile». Ecco è l'esperienza egiziana quella che guida le strategie delle aziende italiane. Riportato un clima di tranquillità grazie alla transizione pacifica, chi operava nel paese delle Piramidi non ha perso tempo a rimettere in funzione gli impianti industriali. Così ieri ad esempio in Egitto, è ripartita la produzione del gruppo Italcementi, nei cinque impianti della azienda controllata Suez Cementi. Ne ha dato notizia la stampa specializzata. La sospensione della produzione era stata decisa alla fine di gennaio, a sei giorni dall'inizio delle proteste per mandar via il presidente Hosni Mubarak. Fonti degli ambienti finanziari hanno ricordato che l'Egitto contribuisce per circa il 15% al fatturato consolidato del gruppo. Una fetta troppo importante per essere abbandonata. Non può essere altrimenti. Il futuro di quei paesi che chiedono più democrazia è indissolubilmente legato all'accelerazione dello sviluppo economico in grado di garantire una maggiore distribuzione della ricchezza alla popolazione. Qualunque governo salirà in Libia, o in qualunque altro paese con una situazione simile, non potrà prescindere da questo aspetto. Le aziende italiane lo sanno e preparano il ritorno. A breve.

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