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Controffensiva di responsabilità

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(...)ha avuto inizio, la maggioranza si va rafforzando in misura consistente, nonostante le poco istituzionali invettive del presidente della Camera. Ciò impone almeno due considerazioni che nei prossimi giorni appariranno sempre più evidenti. Innanzi tutto, il confuso agitarsi di partiti e aspiranti leader in cerca d'autore, e lo sfarinamento in tempo record di progetti ambigui e animati solo da cieca contrapposizione, ha chiarito al di là di ogni dubbio che il centrodestra in Italia esiste. Vi può essere chi si proponga di cambiarlo, di strutturarlo diversamente, anche di migliorarlo. Ma di certo non si può far finta che non esista, o illudersi di revisionarlo stringendo accordi e alleanze con coloro che i moderati e liberali hanno sempre considerato avversari storici. Gli eventi hanno infatti sancito la sconfitta di una prospettiva «unionista» da contrapporre al «grande malfattore». Lo spazio a sinistra è sovraffollato e la liturgia dell'antiberlusconismo ha già fin troppi celebranti della prima ora: illudersi di conquistare un'area già satura, per di più al ricasco del disegno di alcune toghe militanti e senza i numeri per affermarsi in Parlamento, significa coltivare una prospettiva asfittica e sbagliare clamorosamente i conti. C'è poi una seconda considerazione, che investe il rapporto tra giustizia e politica e la stessa agibilità democratica del Paese. Liquidare come «spirito di autoconservazione della casta» i ripetuti voti con cui in diverse circostanze il Parlamento ha preservato lo spazio della politica e la sovranità popolare da incursioni giudiziarie, significherebbe infatti non aver compreso la reale posta in gioco. Significherebbe non capire che l'allentamento delle garanzie in tema di giustizia penale, la scissione completa fra giustizia e sovranità popolare e il venir meno del fattore di equilibrio che i Costituenti avevano individuato nell'immunità parlamentare, configurano di fatto l'esistenza di un corpo separato e autoreferenziale, irresponsabile rispetto al proprio operato e rispetto agli altri poteri dello Stato, al netto dell'onesto e discreto lavoro di tanti magistrati. Il combinato disposto tra un'obbligatorietà dell'azione penale ormai sconfinata in arbitrio assoluto e l'assoggettamento della polizia giudiziaria senza che questa dipenda da linee gerarchiche, ha reso i pm di fatto onnipotenti. E l'affermarsi della giurisprudenza creativa ha svincolato la magistratura anche rispetto alla legge, recidendo l'ultimo residuo legame con il circuito democratico. Caduto il contrappeso costituzionale dell'art. 68, caduta la soggezione esclusiva alla legge approvata dai rappresentanti del popolo, la scissione del potere giudiziario dalla sovranità popolare si è fatta così assoluta. L'unica sede di compensazione istituzionale risiede nel Csm, ed è per questo che quanti hanno a cuore il principio di leale collaborazione guardano preoccupati al pericolo di derive politiche, corporative e correntizie dell'organo di autogoverno della magistratura e ai suoi sconfinamenti. La grande anomalia italiana fin qui descritta ha reso oggi possibile l'attacco alle istituzioni democratiche. La stessa anomalia ha condannato ieri il governo Prodi, e minaccerà domani chiunque, forte della legittimazione democratica ma nudo di fronte all'uso politico della giustizia, dovesse cimentarsi con il governo del Paese. È dunque necessario cogliere fin da ora l'opportunità offerta dal rafforzamento della maggioranza conseguito in queste ore, mettendo mano senza indugi a una riforma dello Stato che garantisca equilibrio al sistema, a cominciare dal ripristino dell'art. 68 al quale lei, caro direttore, ha fatto spesso riferimento. L'offensiva mediatico-giudiziaria, e la sponda di chi si illude di goderne oggi i frutti senza pagarne lo scotto domani, stanno suscitando in Parlamento una controffensiva di responsabilità da parte di chi ha a cuore le sorti dell'Italia. Se non ora, quando? *vicecapogruppo Pdl al Senato

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