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ll Quirinale frena il Pdl "Niente guerra su Fini"

Da sinistra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente della Camera Gianfranco Fini

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State buoni, ci sono i festeggiamenti dell'Unità d'Italia. L'avvertimento partito dal Quirinale è arrivato forte e chiaro. E soprattutto ha sortito il suo effetto. Napolitano dunque sembra esser riuscito a evitare lo scoppio della più grave guerra tra le istituzioni che si possa immaginare. Magistratura contro il presidente del Consiglio, che attacca il presidente della Camera, che difende i magistrati. Il messaggio che arriva dal Colle al Pdl è inequivocabile: ora basta, niente conflitti. Il presidente della Repubblica vorrebbe una sorta di periodo sabatico, senza scontri. Almeno fino al 17 marzo, quando termineranno le celebrazioni del 150° anniversario della riunificazione. E così a metà mattinata l'ordine attraversa le linee pidielline: abbassare i toni contro Fini. Anche perché la voce che corre all'interno del partito del premier è che comunque ci saranno «passi informali» che indurranno il presidente della Camera a lasciare l'incarico. Da parte di chi? Non commenta Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl: «Quante cose vi inventate. Non c'è alcuna notizia. È tutta una non notizia. Noi pensiamo a lavorare». Più esplicito Fabio Rampelli, un pasdaran ex An rimasto nel Pdl: «A noi conviene di più che Fini resti dov'è in queste condizioni. Appena sgarra, lo bastoniamo». Quel che è certo è che il Pdl evita di partire all'assalto del presidente della Camera. Lascia fare la Lega, tanto che Bossi torna a ribadire che è meglio che Fini si dimetta. Il Pdl si limita a giocare di rimessa. Urso se la prende con Cicchitto che gli risponde per le rime. Nulla di più. Stamattina il ministro degli Esteri Franco Frattini si recherà in Senato a rispondere all'interrogazione di Luigi Compagna, che voleva sapere se è vero che sono arrivati documenti che attesterebbero la proprietà da parte di Giancarlo Tulliani della famosa casa di Montecarlo. Fini disse che se fosse stata accertata si sarebbe dimesso. Il titolare della Farnesina sosterrà che l'appartamentino risulta essere del cognato del principale inquilino di Montecitorio. Il Pdl si dichiarerà soddisfatto ma non dovrebbe scatenare l'inferno. In casa Fli tutti blindati per parare la prossima palata di fango. I finiani sosterranno l'inattendibilità delle carte, diranno che sono patacche e che Fini aveva detto che si sarebbe dimesso solo con la certezza che l'intestatario fosse stato il fratello della sua Elisabetta. Il punto è che anche tra gli uomini di Fli si fa largo l'ipotesi dimissioni. Dice Roberto Menia: «Chi sarà il presidente di Futuro e Libertà? Il congresso eleggerà Fini, che dubbio c'è».   E dunque, se così fosse, anche formalmente il presidente della Camera sarà leader di un partito di opposizione tra quasi venti giorni. Una situazione che difficilmente potrebbe ancora tollerare uno come Giorgio Napolitano, che prima di essere presidente della Repubblica fu proprio sullo scranno più alto di Montecitorio. E quando ci salì lasciò persino la guida della componente migliorista all'interno del Pds. Un abbandono non solo formale, ma anche sostanziale tanto che provocò uno scossone interno al suo partito di provenienza. E Berlusconi? Silvio si mostra sicuro, spavaldo. Alla fine del vertice sull'Expo 2015 scherza con Moratti e Formigoni: «Mi raccomando, le hostess venticinquenni le scelgo io! Sapete, sono il massimo esperto». Esorcizza la tensione raccontando barzellette. In conferenza stampa gli viene chiesto se se l'aspettava che la legislatura fosse così complicata: «Ci sono cose più complicate nella mia vita... Di cose complicate ne ho viste tantissime e ne sono sempre uscito benissimo...». Poi arriva alla Camera e gli viene chiesto se ha visto le ultime carte che sono arrivate: «Non ho nulla da dichiarare, è tutto scandaloso», la risposta laconica prima di cercare di convincere Sandro Bondi a non lasciare (il ministro ha già fatto i pacchi al dicastero e per ora si gode un po' di riposo con la compagna Manuela Repetti). Ma ormai nella sua testa si fa sempre più largo l'ipotesi elezioni. Con i fedelissimi controlla anche le date, metà-fine maggio. Fa sapere di aver fatto già prenotare gli spazi pubblicitari e sta studiando un nuovo simbolo. Stavolta il nome previsto è «Italia delle Libertà».  

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