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Il Pd deciso: né il Cav né il voto

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Pierluigi Bersani

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Questa volta il Pd gioca all'attacco. O almeno ci prova. Nessuna esitazione, nessuna frenata, Pier Luigi Bersani riunisce la segreteria del partito e parte lancia in resta. Il primo atto è un appello con cui le donne che compongono il massimo organismo dei Democratici (Roberta Agostini, Stella Bianchi, Cecilia Carmassi, Annamaria Parente, Francesca Puglisi) si rivolgono al premier: «Si dimetta adesso. Liberi l'Italia dall'imbarazzo. Lo spettacolo indecoroso che sta offrendo al mondo intero non è degno di un Paese civile». E ancora: «Le donne di questo Paese sono altro. Sono talento, lavoro, impegno, fatica, bellezza, cuore, passione, dignità e serietà. In nome della nostra dignità e serietà, esigiamo rispetto». Ora il Pd lancerà una mobilitazione per raccogliere firme in tutta Italia ma «l'offensiva» non si ferma qui. Intervenendo in Aula alla Camera e al Senato i due capigruppo Dario Franceschini e Anna Finocchiaro chiedono pubblicamente un passo indietro del premier. Mentre Bersani rincara la dose: «La situazione vista dal mondo segna un allarme rosso. Berlusconi deve togliersi dall'imbarazzo e togliere l'Italia dall'imbarazzo andandosi a difendere dai giudici da dimissionario, affidandosi per il resto al presidente della Repubblica e al Parlamento». E il nodo sembra proprio questo. Perché mentre chiede con forza le dimissioni del Cavaliere, il Pd mostra di non avere affatto le idee chiare sul dopo. A via del Nazareno non si esclude la possibilità di elezioni anticipate ma come sempre, sul tema, non c'è una linea chiara. Anche perché l'impressione è che in questo momento i Democratici, dati ancora in calo nei sondaggi, vogliano tutto tranne che affrontare l'ennesimo referendum elettorale «Berlusconi sì-Berlusconi no». Così, concludendo il suo intervento alla Camera, Franceschini tradisce la preferenza per una soluzione che non passi per le urne: «Si dimetta e lasci che siano il Capo dello Stato, il Parlamento e la sua stessa maggioranza a trovare la strada e le persone giuste per salvare il Paese e per ricostruire la credibilità delle istituzioni repubblicane di fronte al mondo ma, soprattutto, di fronte agli italiani». Insomma la «ferita» della sconfitta del 14 dicembre è ancora aperta e il Pd per ora vuole prendere il comando delle operazioni, ma senza esagerare. Per questo è impossibile che venga presentata una nuova mozione di sfiducia al premier, mentre un'occasione per dare un segnale potrebbe essere la discussione sull'operato del ministro Sandro Bondi a fine mese. Ma è indubbio che le prospettive future peseranno e non poco sulle posizioni delle forze di opposizione. Nel Pd, se i «rottamatori» guidati da Pippo Civati lanciano lo slogan «Dimissioni+elezioni», l'esponente del Modem veltroniano Paolo Gentiloni replica: «Il Paese non deve pagare lo scotto di questa insostenibilità. Andare ad elezioni anticipate oggi sarebbe assolutamente irresponsabile». E anche i messaggi che arrivano da Terzo Polo sono tutt'altro che univoci. In mattinata il coordinatore nazionale di Fli Adolfo Urso lancia il sasso: «Il Paese ha bisogno di un governo che faccia le riforme, non di un ulteriore devastante scontro istituzionale, altrimenti è meglio andare il voto». In serata il capo della segreteria politica Carmelo Briguglio corregge un po' il tiro: «Sia Berlusconi stesso a passare la mano ad altro premier». E anche Pier Ferdinando Casini sconsiglia al premier di andare alle urne anche se subito aggiunge: «Se decide di prendere questa strada noi siamo pronti». Sicuro?

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