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«Stop» della Cassazione alla Sacra Rota

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.Discorsi di donne e di uomini ancora possibili, ma non più destinati ad avere in automatico una conclusione legittimamente valida. È scattato lo «stop» al disinvolto aumento dei riconoscimenti, da parte dei giudici italiani, delle sentenze ecclesiastiche di dichiarazione di nullità dei matrimoni. A deciderlo è stata la Cassazione che, con la pronuncia di ieri, prende in via definitiva una posizione storica: infatti, le sentenze ecclesiastiche matrimoniali, per avere efficacia nel nostro Paese, devono essere riconosciute dal giudice. In assenza di riconoscimento (chiamato «delibazione») esse non hanno efficacia in Italia. In poche parole, un matrimonio di lunga durata già annullato dalla Chiesa non può essere annullato automaticamente dallo Stato. Gli «ermellini», riuniti all'interno della prima sezione civile (sentenza numero 1343), hanno accolto il ricorso di una signora veneta e invalidato la nullità civile del suo matrimonio, protrattosi per vent'anni. Maria Lorenza R., «ripudiata» dal consorte col pretesto di avergli taciuto la sua contrarietà a diventare mamma, ai giudici della Suprema Corte aveva chiesto se la sentenza ecclesiastica di annullamento delle nozze (emessa dalla Sacra Rota nel 2001 e «convalidata» dalla Corte d'Appello di Venezia quattro anni fa) non contrastasse con gli articoli 123 del codice civile (simulazione del matrimonio) e 29 della Costituzione (tutela della famiglia). E i giudici della Suprema Corte le hanno dato ragione spiegando che «la prolungata convivenza è considerata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompatibile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge». Di fatto, dopo un'unione così lunga l'unica via percorribile resta quella della separazione civile, non quella della nullità. Situazioni analoghe al caso appena ricordato hanno avuto esiti diversi in Italia: infatti, negli ultimi cinque anni si è registrato un vertiginoso aumento delle procedure di annullamento dei matrimoni davanti ai giudici ecclesiastici e alla Sacra Rota: nel 2009 sono state circa 6mila le dichiarazioni di nullità dei matrimoni. Un fenomeno che ha indotto anche Papa Ratzinger a intervenire, prima nel 2008 e poi l'anno scorso, per verificare eventuali eccessi o scappatoie sottostanti il vertiginoso aumento degli annullamenti del matrimonio. «La "scorciatoia" della nullità è stata adottata in molti casi in Italia dal coniuge per evitare di pagare l'assegno di mantenimento all'ex moglie o al soggetto considerato nel contesto della separazione più debole». È la chiave di lettura che l'avv. Pompilia Rossi - componente della Commissione Famiglie e Minori del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma - ha dato della sentenza degli «ermellini». La nota matrimonialista ha osservato come la pronuncia della Cassazione sia importante per porre un freno a una tendenza per certi versi poco chiara. E in ogni caso - ha ribadito - «a ricordare che i criteri per valutare la nullità del matrimonio civile siano altri». Dal canto suo, il presidente nazionale dell'Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, avv. Gian Ettore Gassani, ha osservato come in questi ultimi anni i giudici italiani, in assenza di direttive precise, abbiano riconosciuto la stragrande maggioranza delle sentenze di annullamento dei matrimoni rese in sede ecclesiastica». «È condivisibile, pertanto, l'orientamento della Suprema Corte secondo cui non può essere convalidata dal giudice italiano una sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio se il vincolo coniugale è durato almeno 20 anni. La "ratio" di tale decisione deriva dalla necessità di evitare che il ricorso alla giustizia ecclesiastica (e il successivo ricorso alla giustizia italiana finalizzato all'annullamento del matrimonio) possa tradursi in una disinvolta ed incontrollata scappatoia finalizzata all'ottenimento dello stato libero in tempi rapidissimi che nulla hanno a che vedere con il significato sacramentale del matrimonio e delle reali cause che possano determinarne la dichiarazione di nullità».

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