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Ora la Fiat deve vendere più auto

Fabbrica

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Le parole più sagge dopo il referendum alla Fiat le abbiamo ascoltate da Sergio Marchionne e John Elkann: «Chi ha votato Sì ha mostrato di avere fiducia in se stessi e nel loro lavoro. Una scelta coraggiosa. Mi auguro che chi ha detto no metta da parte ideologie e preconcetti». E il presidente del Lingotto: «Dimostreremo che in Italia è ancora possibile costruire grandi auto capaci di farsi apprezzare nel mondo». Ecco: costruire grandi e buone auto, e venderle. Questo è ciò che ci vuole ora, anche e soprattutto da parte dell'azienda. E questo sarà il migliore e definitivo antidoto all'estrema ed in gran parte assurda ideologizzazione pre-referendum. E se la responsabilità di tutto ciò cade in massima parte sulla Fiom e sull'estrema sinistra, nonché sulla pavidità del vertice di Pd e Cgil, è giusto ammettere che neppure Marchionne e i suoi hanno scherzato con i toni ultimativi. È dunque lecito aspettarsi che ora i dipendenti Fiat si rimbocchino le maniche, consapevoli che è stato salvato il loro lavoro e il futuro dell'industria automobilistica in Italia. Ma è altrettanto doveroso attendersi che l'azienda metta finalmente in campo modelli convincenti e recuperi quelle quote di mercato che ha continuato a perdere fino ad oggi, mentre i concorrenti invertivano la tendenza e tornavano agli utili. Non si può dimenticare – e lo ha ben presente Marchionne - ciò che sta accadendo nel panorama mondiale.   La Volkswagen è diventata stabilmente il secondo produttore scavalcando Ford e General Motors, portandosi con 7,2 milioni di veicoli alle spalle della Toyota. Ancora più interessante notare come muove il gruppo di Wolfsburg: produzione di qualità in Europa, ma massicci investimenti negli Usa e in Cina con due obiettivi differenziati e complementari. Il primo: riconquistare il ricco mercato americano con modelli che riportino agli standard del passato (in particolare Audi e Passat); il secondo: invadere la Cina con prodotti di massa, ma non con scatolette, nella convinzione che tra non molto quello sarà non solo il primo mercato mondiale, ma anche un mercato di consumatori esigenti. Si tratta (come per Toyota e Ford) di progetti strategici su scala planetaria, articolati e diversificati ma anche complementari, dove i processi produttivi – il famoso World Class Manifacturing che al Lingotto ha il suo guru nell'ingegnere tedesco-brasiliano Stefan Ketter – si affiancano alle nuove tecnologie e materiali. La Fiat deve ancora recuperare terreno. Anzi, si può dire che deve conquistare terreni di sana pianta. Con l'applicazione piena del Wcm, proprio da Mirafiori, razionalizzerà e modernizzerà la produzione, ma Marchionne e i suoi sanno benissimo che questa è solo una parte dell'opera. Occorre poi un know how che il Lingotto già possiede nei modelli piccoli e meno inquinanti, ma non ha nelle compact medie e medio-alte, quelle ad alto valore aggiunto. L'auto, lo sappiamo tutti, non è un bene effimero e opinabile come un giaccone alla moda: chi compra una Bmw o anche una Golf o una Prius pretende un prodotto diverso rispetto a una Cinquecento ed una Micra. Tutto ciò sul fronte dell'azienda. Su quello dei dipendenti, dopo l'orgia di minacce e affermazioni da fine del mondo cui abbiamo assistito specie da parte Fiom, basta ricordare alcuni chiarissimi dati che ci giungono da Germania e Usa, i paesi di più antica e forte tradizione industriale e sindacale. E cioè: proprio alla Vw l'accordo tra azienda e dipendenti basato su più lavoro a parità di salario produrrà l'assunzione di 50 mila nuovi operai. Una Mirafiori moltiplicata per dieci. Quanto all'America, i dipendenti di Ford e Gm tornate all'utile si stanno per dividere un bonus medio di 5 mila dollari a testa, con la prospettiva di fare il bis l'anno prossimo. Anche gli operai della Chrysler, che nel 2009 accettarono di pagarsi di tasca propria alcuni benefit sanitari e previdenziali in cambio del 55 per cento del pacchetto azionario, potranno rifarsi con gli interessi quando l'azienda, della quale la Fiat ha già preso il 25 per cento (per salire al 51), tornerà alla quotazione a Wall Street. Forse non diventeranno tutti ricchi ma si saranno garantiti, assieme, sia il lavoro sia quel benessere da classe media che è da sempre forza e pilastro della società americana. Da noi si è discusso di tutto, dalla Costituzione in giù, ed i talk show hanno spedito inviati e conduttori spesso miliardari ai cancelli di Mirafiori. Dimenticando quanto quei cancelli abbiano nel 1980 tradito un Pci ed una Cgil guidati da Enrico Berlinguer e Luciano Lama, non da Bersani e Susanna Camusso. Nel frattempo Marchionne è passato da beniamino della sinistra certificato da Fabio Fazio, ad affamatore del popolo. In compenso non si è mai ragionato sull'aspetto economico e di mercato di questa grande, affascinante e non ancora risolta partita. Il momento è ora; e partire dal 54 per cento è una buona soglia, sia in democrazia sia sul luogo di lavoro.  

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