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È in gioco la verità

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Inacio Lula da Silva, presidente del Brasile

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Alla fine, Lula ha deciso. Meglio: ha posto prima tutte le condizioni affinché l'estradizione di Battisti potesse e dovesse essere negata, dopodiché si è nascosto dietro questa selva di cavilli e proceduralismi astratti. Quel che viene negato è il corpo nella sua materialità, l'uomo che ha subìto la violenza da parte di un criminale spacciato per ideologo di un fronte neocomunista. Torregiani chiede giustizia, ma il suo lutto oggi rappresenta il lutto dell'Italia e l'affermazione di Berlusconi, secondo il quale i rapporti con il Brasile non muteranno dopo la sciagurata decisione di Lula, non cancella in alcun modo il peso di un affronto alla verità come questo. E' stata la pulsione di un capo-partito, di un presidente che lascia parlare gli schemi interni alla dialettica politica con le frange estreme della sua parte politica a dettare legge, in questo caso. Sottrarre peso a questo particolare è un'operazione ideologica che fa velo alla verità dei fatti e alla retta definizione della sovranità di uno Stato. Magna latrocinia, diceva sant'Agostino: così gli Stati, quando perdono il contatto con la verità delle cose e diventano strumenti di affermazione di interessi particolari e corporativi. Un precedente come questo può segnare a fondo la storia di un mondo affannato nella ricerca di capisaldi fondati sul vero e sul bene.   La verità attraversata dalla giustizia tiene il passo della sovranità statuale non politicista e non piegata al particulare di una decisione schmittianamente fondata sul nulla. Cronaca di una "decisione" annunciata. Con le virgolette, perché il nodo di Gordio non è stato sciolto, ma rifinito, abbellito, addomesticato, fino all'affondo decisivo. Torneranno gli equilibri basici nei rapporti tra l'Italia e il Brasile, ma questa ferita non segna soltanto il diritto internazionale, ma la nostra memoria di Paese, Nazione e comunità vulnerata dal terrorismo rosso e dalla violenza della bande organizzate in nome e per conto di un leninismo duro a morire. Duro a morire anche alle latitudini di Lula, che chiude la sua vicenda politica con una minorità irredimibile e un passo ulteriore verso i magna latrocinia, il grande furto della verita'. Il Leviatano vince quando la verità perde. Così, alla fine, perdono tutti. Sdraiati a terra non ci sono i manifestanti, ma i falsi padroni di una memoria che chiede giustizia. La questione può apparire eccentrica, addirittura fuori tema, ma riflettiamo su un dato: se tranciamo via il criterio dell'affermazione della verità come metro di misura dei retti rapporti tra le vicende individuali e quelle pubbliche, cosa rimane del mondo umano? Su cosa si basa la mondializzazione - a forte rischio di astrattezza ideologica - se i corpi, i concreti diritti naturali (e la giustizia appartiene a questa categoria) vengono ridotti a fumisteria culturale irrilevante? Inscrivere la vicenda Battisti nell'ordine banale del diritto internazionale, dei rapporti tra gli Stati, del proceduralismo formalistico giuridico o pseudotale è un grave errore, una miopia intellettuale. Riporta Battisti nel gorgo della lotta ideologica assordante e i cadaveri delle vittime nei necrologi anonimi destinati al cestino della memoria. Questo è il punto. Battisti è il corpo del male. Colpisce la memoria che appartiene innanzitutto a noi. Ma non solo a noi.  

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