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Fini gioca l'ultima carta Berlusconi non abbocca

Il premier Silvio Berlusconi rivolge un saluto al presidente della Camera Gianfranco Fini all'inizio del suo discorso a Montecitorio

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È stata la notte dell'ultima trattativa. Dell'estremo tentativo di trovare una via di uscita al muro contro muro. L'ultima mossa dei finiani ieri è stata di proporre a Berlusconi di dimettersi appena ricevuta la fiducia al Senato e di formare poi un nuovo governo allargato anche all'Udc. In cambio hanno offerto l'astensione del voto a palazzo Madama (in pratica come se non fossero presenti in aula). Proposta che Berlusconi e il Pdl hanno rifiutato. Ma il tentativo è servito almeno a ricompattare il gruppo di Futuro e Libertà, a scongiurare, per il momento, l'addio di Silvano Moffa che domenica sera sembrava ormai certo. E a rilanciare il suo ruolo di «pontiere» a oltranza. Il deputato di Futuro e Libertà ieri è stato il centro attorno al quale ha ruotato ieri tutta Fli. Iniziando da Gianfranco Fini che in mattinata è andato personalmente a trovarlo nel suo ufficio di presidente della commissione lavoro. Per cercare di convincerlo a tornare sui suoi passi. Anche perché se Silvano Moffa decidesse oggi di votare la fiducia al governo probabilmente sarebbe seguito anche da altri deputati finiani. Sicuramente, ad esempio, da Maria Grazia Siliquini. E a loro avrebbe telefonato anche Silvio Berlusconi, probabilmente offrendo anche incarichi di governo. Nel «pressing» il presidente della Camera è stato affiancato da Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Giuseppe Consolo che a turno hanno incontrato il loro collega. E molto si è speso anche Roberto Menia, che con Moffa dirige la fondazione Areanazionale ma che ha un legame solidissimo con il Presidente della Camera. Così, riunione dopo riunione, il gruppo di Fli è arrivato, nel primo pomeriggio, a delineare la nuova proposta a Berlusconi. Proposta che in buona parte arriva proprio da Moffa, nell'ultimo tentativo di trovare uno spiraglio con il premier, cercando allo stesso tempo di «portarsi dietro» tutto il gruppo dei futuristi. Ma il deputato finiano, prima di renderla pubblica, ne avrebbe parlato con il sottosegretario Gianni Letta e poi con i ministri Angelino Alfano e Franco Frattini. Nelle lettera inviata al premier non c'è però solo la richiesta di dimissioni dopo la fiducia al Senato. C'è anche l'impegno, messo nero su bianco, che Futuro e Libertà, nel caso Berlusconi dovesse incassare la fiducia anche alla Camera, non passerà mai con l'opposizione, che resterà nel centrodestra e che garantirà una sorta di «appoggio esterno» al governo. È la «subordinata» che proprio Moffa è riuscito a far inserire per lasciare un ulteriore spiraglio, quando tutti gli esponenti del Pdl incontrati gli hanno spiegato che Berlusconi era disposto a trattare su tutto ma non sulle sue dimissioni. Ma il testo presentato al Pdl ha avuto almeno il merito di rimettere insieme le due anime di Futuro e Libertà, falchi e colombe. Che domenica sera sembravano ormai destinate a scivolare lungo strade completamente opposte. Troppo irritato Moffa per le parole di Fini sul «tentativo tardivo» di ricucire con premier. Irritazione che arrivava anche dal fatto che appena qualche giorno prima il leader di Futuro e Libertà aveva mandato a trattare con il cavaliere non lui ma Italo Bocchino. Cioè il capo dei falchi. Ieri, invece, anche i «duri e puri» futuristi hanno accettato di firmare il documento. Sicuri comunque che Berlusconi l'avrebbe rifiutato. Chi invece è rimasto a trattare tutta la notte è stato proprio Silvano Moffa. Appena il premier ha finito di parlare il deputato di Fli ha lasciato la Camera. Stanco, volto tirato ma, nonostante tutto e tutti, speranzoso: «La notte è lunga per trovare una via di uscita – ha spiegato – La strada è stretta ma la capacità dei leader in questi momenti sta proprio nel trovare un accordo. Tesseremo la tela fino alla fine...». Alle nove il deputato Fli ha partecipato alla cena del gruppo (che ieri aveva invece annunciato di disertare, mentre erano assenti Maria Grazia Siliquini e Francesco Pontone) nella sede di Farefuturo: cinque tavoli da dieci persone allestiti nella sala riunioni di via del Seminario. E ai suoi deputati Gianfranco Fini avrebbe spiegato che oltre quel testo non si può andare, la linea è decisa e quel documento è vincolante per tutti: «È stata una iniziativa che ha contribuito a fare chiarezza, più di così non potevamo fare».

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