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Assange in cella. Putin chiede "Questa è democrazia?"

Il fondatore del sito Wikileaks Julian Assange

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«È questa democrazia? Perché avete arrestato Assange?». Il dito accusatorio ai Paesi paladini dei diritti civili e dell'«Habeas Corpus» arriva dall'ex capo del Kgb. Vladimir Putin, chiamato in conferenza stampa a commentare la vicenda Wikileaks, è un fiume in piena. Bacchettata agli Stati Uniti ma la critica è a tutto l'Occidente che da sempre accusa la Russia di calpestare la libertà di espressione. Entra nel merito dei cablogrammi tra l'ambasciata americana a Mosca e Washington rivelati da Wikileaks. «Voi credete che il servizio diplomatico Usa sia una fonte cristallina di informazione. Lo pensate davvero? - si è domandato polemicamente -. Se parliamo di democrazia, deve essere totale e allora perché Assange è stato arrestato?». Nuovo Platone, il premier russo, cita un proverbio russo «da noi in campagna si dice che se la mucca di un vicino muggisce è meglio che la tua stia zitta». Metafora delle critiche occidentali al suo governo, le stesse che poco prima aveva liquidato con «da che pulpito arriva la predica». Julian Assange è in cella da tre giorni e il mondo si è capovolto. I dossier rivelati da Wikileaks a partire dalla scorsa estate hanno cambiato il corso delle relazioni internazionali. Soprattutto hanno mandato in tilt i principi fondamentali sui quali si basava la convivenza in Occidente. Nulla è più come prima. I sorrisi e le strette di mano tra i leader del mondo non sono sufficienti a fugare sospetti e imbarazzi. Assange ha rotto gli schemi e messo a nudo la fragilità di un sistema libero come internet. Così per paradosso nella schiera dei difensori del fondatore di Wikileaks scendono in campo leader non proprio democratici e liberali. Gheddafi per primo si è schierato a fianco di Assange: «ha avuto un ruolo «molto utile per mettere a nudo l'ipocrisia americana». Il presidente brasiliano uscente, Luiz Inacio Lula da Silva protettore di terroristi di ogni colore, ha protestato contro l'arresto di Assange, manifestando la propria solidarietà nei confronti del sito: Assange «ha messo a nudo un diplomazia che sembrava intoccabile - ha scritto Lula, che ha definito l'arresto del 39enne australiano come - un attentato contro la libertà di espressione». La vicenda Wikileaks ha trovato impreparati gli Stati Uniti, ma anche tutti gli altri governi, così pronti a puntare il dito contro le nazioni che censurano la libertà di espressione. Ora gridano alla violazione dei segreti di Stato: che non si è saputo proteggere. Si evoca il rischio terrorismo: la lista dei siti sensibili secondo l'Amministrazione Usa, è già motivo di dibattito tra i seguaci di Al Qaeda. Si parla per giorni di sabotaggio e si chiede l'arresto di Assange ma le leggi dei Paesi democratici non contemplano un reato per la pubblicazione di file come ha fatto Wikileaks. La Casa Bianca ha difficoltà a trovare un cavillo nella legislazione americana per arrestare Assange. Ed ecco che arriva l'accusa di stupro dopo le prime rivelazioni su Iraq e Afghanistan. Tutto il mondo guarda e legge i dossier resi noti da Wikileaks. Si fa una sua opinione o semplicemente alza le spalle «Tutta roba nota. Gli americani, si sa, si comportano così». Ma qualcosa si è rotto. È sempre la Russia a dettare la linea e a chiedere rispetto per la libertà di sapere. La pubblicazione dei report con la notizia di un Piano Nato a difesa dei Paesi baltici contro un'eventuale minaccia russa ha parecchio irritato Mosca. E ieri il rappresentante russo presso l'Alleanza Atlantica ha battuto i pugni. «Il modo migliore per la Nato per dimostrare che non considera la Russia come una minaccia per l'Occidente sarebbe di quello di abbandonare la pianificazione militare contro la Russia», ha detto Dmitry Rogozin costringendo il segretario generale della Nato Rasmussen a una smentita. Ma non basta. Alle «parole devono seguire i fatti» ha aggiunto Rogozin ribadendo che Mosca attende, quale fatto concreto «una decisione ufficiale». Altrimenti basta partenariato e rapporti bilaterali. Ostaggi della libertà. Sotto tiro della rivolta dei sostenitori di Assange, gli «hacktivist», che stanno attaccando, per ora, le pagine web dei nemici di Wikileaks. Visa, Mastercard, Paypal, Amazon sono finiti nel mirino dei «cavalieri Jedi» del web. Facebook ha oscurato il profilo a sostegno di Assange e ora rischia di finire impantanto della cyberguerra che non ha confini e una sola regola: blocca il nemico. Questo conflitto sotterraneo che viaggia tra il cyvberspazio e le Reti è l'altra contraddizione dell'Occidente. La libertà di espressione difesa a colpi di ritorsione. E la sicurezza degli Stati affidata a un profilattico.  

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