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Inutile impietosire la panzer-economia. Meglio imitarla

Il cancelliere tedesco Angela Merkel

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{{IMG_SX}}Applausi ai cugini del Nord. La grande Germania è il primo, anzi finora l'unico, tra i grandi Paesi dell'Unione Europea ad aver cancellato la crisi, recuperando i livelli di produzione del 2007. Tutto grazie ad un balzo del prodotto interno lordo del 3,6 per cento: roba d'altri tempi, prima che cadesse il muro di Berlino e che i tedeschi dell'Ovest dovessero farsi carico dei fratelli poveri. Vedrete che bell'affare avete fatto, sghignazzato all'epoca i «lumbard» impegnati a contestare Roma ladrona: invece la grande Germania ha, nei fatti, vinto la sfida sotto la guida, tra l'altro, di una cancelliera, Angela Merkel, che viene dall'Est. E che oggi, da buona maestrina, presenta il conto ai partner indisciplinati che non hanno fatto i compiti necessari per stare al passo con i primi della classe. I voti, al proposito, sono impietosi. Quando, alla fine del 1999, l'Italia contrattò l'ingresso nell'euro, la produttività dell'industria italiana era leggermente più alta di quella tedesca. Da allora il dato della Germania è salito del 16 per cento, quello italiano appena del 3. Un'altra classifica dà ancor meglio la misura della voragine che si è creata con la panzer economia: il costo del lavoro per unità di prodotto è sceso in questi anni del 10% in Germania, mentre da noi è salito del 20 per cento. Insomma, da quando giochiamo nello stesso campionato, quello dell'euro, la Germania ci ha inflitto un distacco di trenta punti. Che rischia di crescere ancora, e non di poco, se si pensa che, ad esempio, le fabbriche della Fiat chiuderanno i battenti per il lungo ponte di Natale, in assenza di acquirenti per utilitarie ed Alfa mentre Bmw, Volkswagen e Mercedes hanno fatto sapere che per quest'anno non ci saranno ferie di fine anno: bisogna far fronte alle richieste dei clienti cinesi per i gioielli della tecnologia tedesca. I paragoni, comunque impietosi, potrebbero andare avanti per un po': la busta paga di una tuta blu di Stoccarda è più o meno doppia di quella di un operaio di Cassino. Non c'è paragone tra la solidità della finanza pubblica di Berlino, che l'anno prossimo tornerà sotto la fatidica soglia del 6%, con la nostra, nonostante i tagli imposti da Giulio Tremonti. L'occupazione, che sindacati e padroni hanno tutelato con un'accorta politica di contenimento dei salari e dell'orario, intanto, sta tornando a crescere in maniera virtuosa, senza la «droga» del denaro facile, profuso a piene mani dall'amministrazione Usa. Il governo, al contrario, tagliuzza qua e là le spese, ma senza sacrificare la ricerca tecnologica, il «petrolio» che fa marciare l'economia tedesca. Non c'è da stupirsi, data la cornice, se l'opinione pubblica d'oltre Reno guarda con estrema diffidenza alle richieste di aiuto in arrivo dall'eurozona. O ai vari progetti, tipo l'emissione di eurobond garantiti dalla Bce, che prevedono un massiccio sforzo da parte della repubblica federale. Ai nostri occhi i diktat di Angela Merkel o di Axel Weber, il falco della Bce, che invocano garanzie ferree a fronte del fondo di stabilità europea possono sembrare prove di avarizia o di scarsa lungimiranza. Al contrario, solo così frau Merkel è riuscita a strappare il consenso delle parti sociali, di destra e di sinistra. Né valga l'obiezione che la Germania, paese leader dell'Europa, deve caricarsi degli oneri e delle responsabilità che gli competono. In realtà, Berlino oggi dipende all'Europa assai meno di dieci anni fa. Oggi la panzer economia gode i frutti degli ingenti investimenti verso l'Est Europa ma sa anche di poter disporre delle materie prime in arrivo dalla Russia. E dall'estate scorsa, il primo partner commerciale è la Cina, non la Francia. Certo, la fine dell'eurozona sarebbe un bel guaio per l'industria tedesca. Ma meno che per l'Europa dei Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) e per l'Italia. Inutile, insomma, cercar di impietosire il parente ricco. Meglio, semmai, imitarne la ricetta: moderazione salariale, concertazione tra le parti sociali, stabilità politica. Più ancora, la sensazione, fondata, che venga prima l'interesse collettivo del «particulare», quello che ti spinge ad insultare l'avversario piuttosto che a fare il tifo per la propria squadra. Non a caso la Germania ha sempre difeso le proprie grandi squadre. Da noi, al contrario (vedi Eni, Finmeccanica o la stessa Fiat) va di moda il gioco al massacro.

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