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Pier e Gianfry, maestri nel voltare le spalle

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.Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini erano già pronti a un Berlusconi-Bis: rispettiamo la volontà di Napolitano, accontentiamo il Cav, cavalchiamo l'onda delle riforme guadagnando consenso con gli elettori e, nel conseguente valzer delle poltrone, magari occupiamo qualche posto in prima fila. Il piano era questo. E invece no. «Il gatto e la volpe», stavolta, hanno fatto i conti senza l'oste. Il premier non ha dimenticato. Gli ex alleati gli hanno già voltato le spalle una volta, consumando il loro tradimento - in entrambi i casi - vestendo i panni di presidente della Camera di un governo Berlusconi. È successo con Casini nella quattordicesima legislatura. Nelle elezioni del 2001 la lista Biancofiore (che univa il Centro cristiano democratico e i Cristiano democratici uniti, poi confluiti nell'Udc nel 2002) raccoglie solo il 3,2 per cento delle preferenze e non riusce a superare la soglia di sbarramento, fissata al 4 per cento. Grazie alla vittoria dell'allora Casa delle Libertà loro alleata, però, i centristi hanno la possibilità di accedere alla ripartizione dei seggi, ottenendo ben 40 deputati e 29 senatori. Alla coalizione vanno poi due ministeri (Rocco Buttiglione alle Politiche comunitarie e Carlo Giovanardi ai rapporti con il parlamento) e sei sottosegretariati. Casini occupa, appunto, lo scranno più alto di Montecitorio e, nel 2004, l'allora segretario dell'Udc Marco Follini, viene nominato vicepresidente del Consiglio. Il governo Berlusconi II rimarrà in carica per tre anni, dieci mesi e dodici giorni e sarà l'esecutivo più longevo della Repubblica italiana. Cadrà il 23 aprile del 2005 proprio per mano dell'Udc. Dopo la sconfitta delle elezioni regionali di pochi giorni prima (in cui la maggioranza viene sconfitta in 11 Regioni su 13) i centristi (ma anche An) imputano la debacle all'eccessivo peso della Lega all'interno della coalizione. Follini e compagni lasciano il governo, garantendo solo un appoggio esterno e il Cav è costretto a salire al Quirinale. Carlo Azeglio Ciampi gli riaffiderà la guida del Paese pochi giorni dopo. Stessa gratitudine hanno avuto Fini e i suoi in questa legislatura. L'ex leader di An ha fatto di tutto per ricambiare la fiducia in lui riposta Berlusconi che lo ha voluto (anche poco scaramanticamente se vogliamo) presidente della Camera: dal famoso «Siamo alle comiche finali» subito dopo la svolta del Predellino, passando per il dito puntato in faccia al premier durante la direzione nazionale del Pdl, per arrivare alla nascita di Fli, le conseguenti dimissioni dei finiani dagli incarichi di governo e, di fatto, alla crisi. Non ci sarà nessun Berlusconi–Bis, insomma. E i motivi sono più che evidenti. In più, se si dovesse andare al voto anticipato e il Cav dovesse vincere ancora una volta, farebbe bene ad affidare lo scranno più alto di Montecitorio all'opposizione. Sin da subito, stavolta.

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