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Il teleregime di Gianfranco

Gianfranco Fini e Fabio Fazio

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Il protagonista unico è lui. Gianfranco Fini. Il resto sono poco più che comparse. Anche Fabio Fazio e Roberto Saviano che fortemente hanno voluto il presidente della Camera ospite della loro trasmissione Vieni via con me, recitano la parte dei supporter. Quelli che preparano la scena alla star. Lui si cala perfettamente nella parte, con quell'atteggiamento un po' snob che hanno i divi. Tanto che, ai giornalisti che lo assediano prima della partenza per Milano, risponde: «Tanto mi vedrete stasera in televisione, spero...» È la prima regola dello show business: alimentare l'attesa.Così, tutti davanti alla televisione in attesa dei tre minuti che ne cambieranno la storia. Tutto diventa quasi secondario. Fazio che legge, sbeffeggiando il direttore generale della Rai Mauro Masi, «l'elenco dei leader di partito che dovremmo invitare se fossimo una tribuna politica». «Ma io - commenta asciugandosi il sudore - ho solo due puntate». Entra in scena Silvio Orlando e via all'elenco «delle cose che non avevamo previsto, ma sono accadute». Primi assist a Gianfranco: Enzo Biagi che viene accusato di fare un «uso criminoso» della televisione pubblica, uno che voleva mettere la bandiera italiana nel cesso ed è diventato ministro, la sinistra entusiasta per Montanelli ieri per Fini oggi, la «nipote di Mubarak» che passa una notte in questura a Milano, la «nipote di Mubarak» che non è la «nipote di Mubarak». Tocca a Saviano. Solito, lungo, monologo. Si parla di 'ndrangheta a Milano (la legalità, si sa, è uno dei baluardi di Futuro e libertà). Poi è la volta di Luciano Ligabue. Prima di cantare la sua Buonanotte all'Italia, il cantautore emiliano legge l'elenco dei «pensieri, delle annotazioni, delle sensazioni» di due immigrati albanesi sbarcati in Puglia, nel 1991, dalla nave Vlora. Subito dopo entra la figlia di questi due immigrati. È nata in Italia e ringrazia i genitori per aver scelto la cittadinanza italiana. Non c'è miglior modo per lanciare quello che Fazio introduce come il «presidente della Camera» (curioso, ma non era stato invitato come leader di partito?). Ma prima c'è il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Anche lui è poco più di una spalla nel Gianfranco-show. Dopotutto, solo qualche minuto prima, Orlando ha ricordato come nessuno aveva previsto, ma è accaduto, che «Dc e Pci, si sarebbero messi insieme, per perdere tutte le elezioni». Basterebbe questo per capire l'aria che tira. Il leader democratico svolge diligentemente il suo compitino. I valori della sinistra? La tutela dei deboli, la Costituzione, la possibilità che tutti stiano bene, la lotta alle ingiustizie, il lavoro che non è precarietà, pagare le tasse, la dignità delle donne, l'ambiente, la possibilità di scegliere come e quando morire, la laicità, l'essere persone perbene (soprattutto se si governa il Paese), la pace. «Qui finisce il mio tempo - chiosa Bersani - ma non il mio elenco». Ed ecco la star. Vestito grigio, cravatta blu con pois bianchi, Fini guarda la platea. Deve elencare i valori della Destra. Ci si aspetta parli della «sua» Destra. Quella che ha messo in soffitta le vecchie categorie di Dio, Patria e famiglia. Quella descritta, solo poche settimane fa, dal palco di Perugia. Quella che non ha più paura di difendere gli omosessuali anche a costo di scontentare le gerarchie eccesiastiche. Invece no. Per una sera Fini sembra essere tornato quello che guidava Alleanza Nazionale negli anni '90. Inizia parlando della bellezza di essere italiani, della necessità di amare l'Italia, la «nostra Patria». Quindi ricorda la generosità dei «nostri militari in Afghanistan che ci difendono dal terrorismo». Parla di «immigrati onesti», di senso dello Stato, della legge che è «davvero uguale per tutti». Rispolvera un vecchio cavallo di battaglia del Msi: l'eroismo di Falcone e Borsellino. E, soprattutto, parla di «autorevolezza delle istituzioni», di «uguaglianza» tra Nord e Sud, uomini e donne, figli dei datori di lavoro e degli operai. «La Destra - prosegue - vuol costruire una società in cui il merito e le capacità siano i criteri per selezionare la classe dirigente». Ma, aggiunge, quest'Italia «non la dobbiamo costruire: c'è già. Dobbiamo solo far sentire la sua voce. Anche questo è il compito della Destra». Applausi. Fini esce di scena. Poco dopo lascerà gli studi di Milano. Con lui Elisabetta Tulliani e Italo Bocchino. Una vera star, si sa, non viaggia mai senza il suo «clan».  

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