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Il mondo salvi Pompei

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Godsave the Queen e il mondo salvi Pompei. La perfida Albione in soccorso di Sandro Bondi, il ministro dei Beni culturali che «privilegiando il ruolo di coordinatore del Pdl si è rivelato inadeguato in quello di ministro» e per questo sfiduciato dall'opposizione che ne chiede le dimissioni dopo il crollo della Casa dei Gladiatori di Pompei. Per la verità anche il presidente del consiglio superiore dei Beni culturali Andrea Carandini aveva difeso il ministro dicendo che a crollare era stata una «patacca, una superfetazione» ovvero «una struttura di cemento costruita nel secolo scorso», ma il chiarimento non ha messo a tacere le polemiche. Il Daily Telegraph, in un editoriale firmato da Mary Beard, ha definito il salvataggio del sito archeologico una «mission impossible» per l'Italia. Dimentichiamoci quindi i privati volenterosi, sempre meno per la verità, e i ridicoli flash mob come «Areggi!», quello di ieri al Colosseo organizzato da Sinistra ecologica per sostenere «in tutti i sensi» i beni culturali e il patrimonio artistico del nostro Paese, che «sta cadendo a pezzi nell'incuria di un governo insensibile, e con un ministro (rieccolo, ndr) assolutamente inadeguato». La Beard, documentarista britannica ed autrice del libro «Pompei: vita di una città romana», consapevole della «spending review» che interessa i Paesi europei, ritiene che l'Italia non ce la farà mai, perché l'impresa è impossibile per qualunque Stato. Conservare Pompei costa troppo, l'unica soluzione è una gestione internazionale. Come dire, se Dio salva la Regina, il mondo salvi Pompei. E dopo l'uno-due, assesta il colpo mortale a chi soltanto oggi scopre il meraviglioso sito archeologico dimenticando gestioni e ministri passati: «Perché è crollata la Domus? - scrive sul domenicale british - È troppo facile accusare la negligenza delle autorità italiane». Insomma, il ministro non ha colpe, ma non le hanno nemmeno i sovrintendenti e l'esercito dei custodi, 153 anche se sul posto solo 32 (assenti giustificati?) se la Schola armaturarum juventis pompeiani, sulla via dell'Abbondanza della suggestiva Pompei è crollata. Certo, spiega la Beard, «soldi e organizzazione sono un fattore. Le rovine sono sempre disastrosamente costose. Abbandonate a se stesse, crolleranno sempre inevitabilmente. Costa enormi quantità di danaro semplicemente tenere questa città, con le sue case vecchie di 2.000 anni, libere da erbacce pronte a prendere il sopravvento. Per non parlare di quel che costa proteggere queste strutture contro il sole e le tempeste, le pressioni dell'acqua e i tremori della terra, o fornire strutture scientifiche per aiutare i ricercatori a comprendere i resti ritrovati, o, ancora, allestire servizi di base per i turisti». La commentatrice, che conosce bene il sito per averne scritto un libro, riconosce anche l'impegno di chi lavora tra i resti "opera" dell'eruzione del Vesuvio: «Chiunque abbia fatto lavoro archeologico a Pompei, confermerà quanto siano d'aiuto le autorità italiane sul posto, e quanto vadano oltre i propri doveri, sia pure nel modo tipico del Sud Italia, per fornire le strutture di cui c'è bisogno. Il loro problema sono i soldi, e un'adeguata cura di Pompei è semplicemente al di là di quanto la maggior parte dei paesi possa permettersi, recessione o non recessione». La Beard non sembra d'accordo con il nostro ministro che pensa ad una fondazione per la soluzione «pompeiana». «Dimenticatevi i privati - scrive l'editorialista del Telegraph - Se la preservazione di Pompei è troppo per una nazione è certamente troppo per una singola impresa privata». Dunque, conclude Mary Beard, «l'unica possibile soluzione a lungo termine per i più importanti siti patrimonio dell'umanità come Pompei, Stonehenge o Machu Picchu, dev'essere una sorta di amministrazione internazionale. Se il mondo vuole che Pompei sopravvive nel prossimo secolo, allora il mondo deve pagare, piuttosto che lasciare tutto al paese moderno in cui si ritrova oggi». La documentarista inglese ben consapevole della politica lacrime e sangue del governo di David Cameron che prevede tagli alla spesa pubblica, Queen Elizabeth compresa, si rende conto che l'attuale recessione a nessun Paese consente sprechi ma soprattutto che il patrimonio culturale italiano è così imponente che diventa sempre più difficile sostenerlo. L'idea che dei siti patrimonio dell'umanità si debba far carico il mondo forse potrebbe mettere un freno anche alla corsa di tante specialità per la lista Unesco dei Patrimoni culturali immateriali dell'umanità, istituita a fianco di quella tradizionale da un decennio, che conta già 166 capolavori. Questa settimana, infatti, a Nairobi un Comitato di 23 dei 132 Paesi che hanno ratificato la Convenzione deciderà sulle 51 candidature. Si va dalla dieta Mediterranea, presentata dall'Italia, alla baguette dei francesi, dalla falconeria l'arte presentata da ben undici Paesi, alla Perdonanza dell'Aquila, ancora italiana.

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