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segue dalla prima di ALBERTO DI MAJO È la prima volta che succede.

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Quelliche la legge dovrebbero farla rispettare. La prova finita nella bufera è «Mortis causa», cioè il testamento. Ecco le due tracce. In entrambe il protagonista è un «vedovo titolare di un cospicuo patrimonio» che ha redatto un testamento «in doppio originale» e, sempre in tutte e due le versioni, «ha successivamente distrutto l'esemplare in suo possesso». In entrambe le versioni, un amico del vedovo ha l'altra copia del testamento ma è introvabile perché - ecco la prima «differenza» nei due testi - è «impegnato in una regata intorno al mondo» (nella versione data all'esercitazione) o «impegnato in una traversata oltreoceanica» (nel testo d'esame). Colpa della poca fantasia dei commissari? Può darsi. Ma le somiglianze sono parecchie. Innanzitutto il fatto che in entrambe le versioni il vedovo vorrebbe assegnare una somma di denaro a due enti di cui (sempre in entrambi i casi) non ricorda il nome. Tornano in tutti e due i testi anche i beni lasciati all'«amico Sergio», al «cugino Sempronio» e alla «cugina Caia». Infine, sia nel testo già conosciuto da alcuni candidati sia in quello distribuito agli aspiranti notai due giorni fa, «Tizio dichiara che intenderebbe nominare esecutore testamentario la casa d'aste di Roma allo scopo di dividere tra i due suoi figli il proprio patrimonio artistico». Nei due testi non mancano sfumature «simpatiche». Nel primo il tutore si chiama Frisco, nel secondo Prisco. Nel primo i beni lasciati all'amico Sergio sono quattro cavalli, nel secondo quattro auto antiche. Alcuni candidati al concorso per notai, alla Fiera di Roma, si sono accorti subito della «sospetta» somiglianza. Ma hanno fatto il compito lo stesso. Poi, fuori dall'aula, hanno controllato le due versioni. Così il giorno seguente, venerdì, quando era in programma la terza e ultima prova scritta, hanno protestato con la commissione. Ma non c'è stato niente da fare. Soltanto dopo ore di tensioni l'esame è stato sospeso. Ora la parola passa al ministero della Giustizia che ha ricevuto ieri il verbale della commissione. Il responsabile del dicastero, Alfano, dovrà decidere se invalidare o meno tutto il concorso o solo la terza giornata di prove scritte. Lo farà tra martedì e mercoledì. Di certo è un duro colpo per la credibilità di una delle professioni più «pesanti» del Paese. Soprattutto perché il concorso per notai è sempre stato rigoroso. È un esame nazionale, organizzato dal ministero della Giustizia e gestito da una commissione nominata con decreto ministeriale, guidata da un presidente di sezione della Corte di Cassazione e composta da sei magistrati, tre professori universitari e sei notai. Prevede tre prove scritte e una orale su otto materie. Ai vincitori del concorso viene assegnata dal ministero la sede presso la quale il neo-notaio è tenuto ad avviare uno studio entro tre mesi. Ma stavolta le cose sono andate male. E la questione è finita in pasto ai partiti. Il Pd ha presentato un'interrogazione, la Lega e l'Udc hanno chiesto al ministro Alfano di riferire in Parlamento. Il Carroccio, ovviamente, non ha perso tempo e ha attaccato la logica tutta «romana» dei concorsi. È stato l'ex Guardasigilli, Roberto Castelli, a notare, dopo aver raccolto all'aeroporto le lamentele dei candidati del Nord, che «tutti i commissari erano notai da Roma in giù, senza alcun rappresentante della categoria al Nord. Bisogna che il ministro Alfano faccia immediatamente chiarezza su questa delicata vicenda».

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