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Il manifesto del nulla che conquista tutti

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Alzila mano chi non pensa che si debbano rappresentare anche «gli "invisibili", la realtà molecolare e disaggregata degli outsider i cui interessi non contano e non pesano nei rilevamenti statistici o nelle simulazioni dei sondaggi». E faccia un passo avanti chi non vuole «ridare corpo a una tradizione civile di cui si possa andare orgogliosi» e anche chi è contento di questa «incompetenza stratificata» o si dichiara innamorato delle «derive plebiscitarie dell'anti-politica». Nessuno, ovvio. Ecco perché il testo dello chiccosissimo manifesto d'ottobre degli intellettuali finiani promosso dalle menti delle fondazioni vicine a Futuro e Libertà è così vago e scontato che lo potrebbero sottoscrivere tutti gli italiani, persino Berlusconi. Come non condividere gli obiettivi dei cervelli futuristi? Come non voler proteggere e custodire i «diritti civili, che vanno precisamente declinati e garantiti »; prendersi «cura del bene comune»; difendere «il paesaggio italiano»; stimolare il «senso di proprietà collettiva del patrimonio nazionale, materiale e immateriale»; investire «strategicamente nella ricerca»; accrescere «il capitale sociale rappresentato dall'intelligenza e dalle virtù civili italiane»; rispondere «con parole e azioni adeguate alle opportunità e alle sfide della scienza e della tecnologia» e infine virare «la forza dinamica sprigionata dalla crisi» in «energia produttiva». Una volta decifrati i paroloni da maestrini logorroici il succo è quasi lapalissiano. Ecco perché il manifesto d'ottobre dei finiani sembra voler prendere il posto di quegli intellettuali rossi che si accreditano come maitre-à-penser, e poi disprezzano il popolino che guarda il Grande Fratello, non compra MicroMega e non ha la casa piena di Adelphi. Forse tentando così di sanare anche un complesso di inferiorità che certa destra non riesce a togliersi di dosso. Eppure il nuovo cenacolo intellettuale, la nuova oligarchia del sapere - che di nuovo ha molto poco e raccoglie gli avanzi della sinistra al caviale - ha convinto Fini della sua predestinazione a costruire una «Nuova destra». Peccato che non esista, nel Paese reale. Ma i sapiens finiani, che si riempiono la bocca parlando di res publica ma poi si tappano le orecchie sulla storia del cognato in affitto, ci provano lo stesso con il «gioco della rivoluzione». E sottolineano con orgoglio che il Manifesto è «no-partisan» perché si rivolge «a tutto il ceto intellettuale italiano e agli interlocutori più sensibili». Perché non c'è politica «senza un pensiero che anticipa e accompagna l'azione trasformatrice». Ma il pensiero del manifesto d'ottobre quale è?

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