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Fischi a Schifani, fiasco del Pd

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Eccolo Schifani, arriva alla festa del Pd di Torino. Sa che non troverà un tappeto di rose ad attenderlo. È deciso a parlare pur davanti alle contestazioni. Che arrivano puntuali e violente. Il Pd limita i posti in platea. Cerca di lasciare fuori la protesta. Ma non ci riesce. Ha ragione la Boniver «con il vecchio Pci non sarebbe successo». Ma quell'organizzazione, quella militanza sono storia vecchia. Nessun rimpianto per carità, ma il Pd appare come un cantiere sempre aperto dove nuovo e vecchio si intrecciano. È tutto e il contrario di tutto. Così in sala ci sono i disciplinati che applaudono il presidente del Senato, che pure fa parte di un partito che il capo dell'opposizione definisce una fogna. Ma i consensi non coprono i fischi, gli insulti, i tentativi di irruzione dei grillini, del popolo viola, di quella sinistra giustizialista ed estremista che ha la benedizione di Di Pietro. Cercano lo scontro. Ma è la polizia a fermarli, non il servizio d'ordine di un partito che non c'è. Non ci sono operai, studenti arrabbiati. Ci sono signore e signori che fuori dai salotti sfogano la loro rabbia in piazza. Gazzarra squadrista, secondo Fassino che ha il difficile compito di dialogare con Schifani. Bersani è lontano, dopo telefonerà al presidente del Senato quasi stupito di quanto accaduto. Ma Schifani non si è fatto piegare, non è fuggito: non mi impedirete di parlare, grida dal microfono. Poi discute di riforme, della necessità del dialogo, di evitare attacchi personali. Un accenno al governo senza polemiche. Discorso istituzionale nel clamore di chi non vuole ascoltare, ma solo urlare. E la vittima alla fine non è lui che dimostra coraggio e responsabilità. A uscire a pezzi è il Pd, non solo perché non sa organizzare un incontro tanto importante, ma perché la contestazione è tutta interna. Interna alla coalizione alternativa a quella guidata da Berlusconi. Infatti mentre Napolitano, Fini, esponenti politici esprimevano solidarietà a Schifani, da Di Pietro arriva una benedizione delle proteste.   L'ex Pm non solo difende la legittimità della gazzarra, ma solidarizza con i contestatori che, a suo dire, avrebbero fatto bene. Lo dice Di Pietro, e una sua discepola, Sonia Alfano va oltre e se la prende anche con Fassino a cui Berlusconi dovrebbe dare la tessera ad honorem per approdare al «partito dell'amore». Ma Bersani a Di Pietro non ha nulla da dire? Oppure non può tirare troppo la corda con l'alleato? E così un esponente moderato del Pd, Merlo, prende la palla al balzo per dire a Bersani che ora deve scegliere se stare con il Capo dello Stato o con Tonino. Già, ma è il dilemma da sempre del Pd. Che non sceglie e si isola. Napolitano condanna i grillini con durezza. Fini fa la stessa cosa. E dal Pdl giungono attestati di solidarietà pur rilevando l'ambiguità del Pd accusato di aver contribuito a creare un clima di odio. Così appaiono tardive le scuse dei democratici. E un po' patetico anche Fassino che rispolvera vecchi slogan: «Chi si comporta così, pensando di fare la lotta a Berlusconi, in realtà fa la lotta al centrosinistra». Peccato che quelli in piazza sono nel centrosinistra. Sono una costola dell'alleanza alternativa. Barbarie, degenerazione ecc... Ma alla fine la squadrista aggressione a Bersani fa emergere ancora una volta una sinistra che, nonostante le batoste elettorali, non perde la sua vera anima: quella della rissa. Verbale, e non solo, visti gli scontri e il tentativo di attacco a Schifani.  

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