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Di manovra si può morire Ora serve una scossa

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Ieri abbiamo scritto che questa approvata dal Senato rischia di essere una manovra che ci mette sì in riga con l'Europa, ma non contiene quasi nulla in termini di crescita e sviluppo. Molto rigore, dunque, e poco lavoro. E aggiungiamo: poca impresa. L'impresa, che specie adesso, in una Italia che appare dominata dalla consueta ondata di intercettazioni e veleni politici, si staglia ancora e sempre di più come un bene, un ancoraggio ed un valore assoluto. Comunque la si pensi e qualunque sia il nostro voto. Oggi arriva una conferma, in termini oggettivi (cioè a base di numeri) dai tecnici dell'Ufficio studi e Bilancio della Camera nel dossier dedicato al decreto legge in arrivo a Montecitorio. Il punto di partenza è che la manovra avrà un effetto depressivo sul Prodotto interno lordo: non elevatissimo ma pur sempre significativo in un Paese abituato a crescere poco come l'Italia.   Per la precisione, una minore crescita di ricchezza nazionale di 0,1 punti nel 2010 e di 0,2 nel 2011 e 2012. Esattamente ciò che ha stimato Giulio Tremonti. Dopodiché, secondo il ministro dell'Economia, tutto dovrebbe essere compensato e riassorbito dalla ripresa. Ma ecco che cosa sostengono quelli dell'Ufficio studi della Camera: "Ove tali valutazioni dovessero essere confermate, la minore crescita a parità di altre condizioni, si ripercuoterebbe negativamente sui tendenziali di finanza pubblica, e in particolare sulle entrate, determinando un peggioramento del rapporto indebitamento/Pil. In tale ipotesi, il mantenimento degli obiettivi programmatici potrebbe comportare un ulteriore intervento correttivo". Tradotto: un'altra manovra. Certo, l'ipotesi viene ventilata (anzi minacciata) nel caso appunto che la minore crescita non sia compensata dalla ripresa promessa da Tremonti e dal governo in generale. Ed è anche possibile che qualcuno sospetti l'Ufficio studi della Camera di remare contro, magari data la vicinanza all'ufficio di Gianfranco Fini. Ma abbiamo detto che il cabotaggio politico ci interessa relativamente, e siamo abbastanza sicuri che i lettori la pensino come noi. In un documento ufficiale di Montecitorio c'è dunque scritto che potrebbe non bastare, forse serviranno altri tagli, e a quel punto non si capisce che spirale potrebbe mettersi in moto. Se 25 (o forse qualcosina di più) miliardi possono produrre un impatto negativo di mezzo punto di Pil, è chiaro che una ulteriore correzione non potrà che deprimere ancora la crescita ed azzoppare una ripresa di per sé già azzoppata. Ed allora vorremmo comprendere a che gioco giocheremmo: andremo avanti di taglio in taglio immolandoci sull'altare del nuovo ordine europeo? Lavoro, infrastrutture, nucleare, casa, nuove imprese: insomma, l'altra faccia della medaglia, il volto buono del rigore, che fine fa? Intendiamoci, come abbiamo già sottolineato il problema investe tutta Europa. L'Italia, nella classifica dei tagli, sta anzi messa un po' meglio dei big: Gran Bretagna, Francia, Germania. In Inghilterra, per fare un esempio, con una correzione di bilancio pari al 6 per cento del Pil, gli economisti stimano una perdita di 1,3 milioni di posti di lavoro, in gran parte nel settore privato. Sotto accusa è l'eccesso di rigore tedesco, che secondo un esperto non sospettabile di buonismo quale Wolfgang Munchau, economista e cofondatore del Financial Times Deutschland, nasconderebbe il vero interesse di Berlino: tutelare non l'euro o l'Europa, ma le proprie esportazioni. "Angela Merkel e Axel Weber, il cancelleiere ed il presidente della Bundesbank, - scrive Munchau - sognano un futuro a base di export e con zero crescita interna". Per rafforzare l'idea, intitola i propri editoriali "I peggiori anni della nostra vita". Tutto ciò per dire che una visione diversa delle cose è possibile, il dubbio è lecito. Stiamo davvero andando in quella direzione, in un luogo nel quale al rigore si debba sacrificare tutto: lavoro, benessere, stato sociale, ma anche opere pubbliche, libertà d'intraprendere, industria e ingegno? Il timore non è solo di qualche economista bastian contrario, o di alcuni centri studi sospetti o sospettabili di intelligenza col nemico. Basta leggere il Bollettino economico di luglio della Banca d'Italia, e le note che lo accompagnano, che ci risultano essere state ponderate riga per riga dal governatore Mario Draghi. Che cosa dicono? Che la ripresa c'è (0,4 per cento nel primo trimestre 2010), ma che è soprattutto per ora spinta quasi esclusivamente dall'export. "La domanda interna è invece rimasta debole - scrive Bankitalia - L'accumulazione in macchinari e attrezzature è risultata modesta, gli investimenti in costruzioni e i consumi delle famiglie hanno ristagnato. Secondo gli indicatori congiunturali la crescita nel secondo trimestre sarebbe proseguita, ancora trainata dalle esportazioni". Non solo. Dice ancora Via Nazionale: "La ripresa dell'attività economica non è stata sufficiente ad invertire la dinamica dell'occupazione, che nel primo trimestre ha tuttavia smesso di ridursi. Secondo dati provvisori, nel secondo non sarebbe significativamente migliorata. Il tasso di disoccupazione, al netto dei fattori stagionali, è all'8,7 per cento, le ore di cassa integrazione sono lievemente diminuite". La conclusione è (per ora) questa: "I livelli produttivi dell'industria rimangono inferiori di quasi 20 punti percentuali rispetto al picco del 2008". Così disse la Banca d'Italia. Noi restiamo dell'idea espressa ieri: il rigore è giusto, tanto più se diretto contro gli sprechi e le cattive abitudini della politica. Però di soli tagli non si vive; anzi si può morire. Anche perché l'Italia non ha la forza della Germania o della Francia; neppure sull'export. Dunque un modesto consiglio a Tremonti, ma soprattutto al Cavaliere. Ci è stata promessa una sfilza di riforme addirittura "a costo zero", che cioè dovrebbero finanziarsi da sole. Dalle opere pubbliche e la casa, di cui abbiamo parlato ieri, al nucleare. Se ci soffermiano su quest'ultimo punto, registriamo la seguente situazione: accordi internazionali sottoscritti, aziende pronte a partire, 30 mila euro di investimenti programmati in un decennio, tutti privati. Ventimila posti di lavoro. Ed una spinta formidabile all'innovazione e alla ricerca, università comprese. Questo da una parte. Dall'altra un ministro dello Sviluppo economico, responsabile del dossier, che dopo le dimissioni di Claudio Scajola non è ancora stato nominato. Un'Agenzia che deve sovraintendere al tutto, che attende anche quella. Aziende che mugugnano, lavoro che langue. Siamo insomma già in grave ritardo sulla tabella di marcia senza che sia stato posto un solo mattone. Sappiamo per certo che Silvio Berlusconi ha intenzione di dare una scossa "liberale e liberista" alla situazione, cominciando dalla libertà d'impresa. Non siamo sicuri che la riforma di una Costituzione che sul tema è pur discutibile ("La libera impresa è tutelata a condizione che abbia fini sociali") sia la via più rapida per dare questa scossa. L'importante è muoversi: Tremonti è stato bravissimo con le forbici, ora il Cavaliere faccia l'imprenditore, oltre che il premier. Siamo sicuri che anche per lui - come per noi - è molto meglio che occuparsi di P3 e di Denis Verdini. Tanto più se davvero si profila un'altra manovra.  

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