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Ribaltopoli

Fotomontaggio con Vendola, Tremonti e Fini

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Fini. Tremonti. Vendola. Non è un triumvirato, né un triangolo, ma se connettiamo tutti i puntini del dibattito politico vediamo uscire il disegno preciso di quel che emergerà dal magma della politica nel prossimo futuro. È inutile girarci intorno, il postberlusconismo è in via di costruzione. Non sappiamo ancora il quando, il come è confuso, ma il dato certo è che il pentolone della politica sta bollendo a temperature altissime e prima o poi il coperchio è destinato a saltare. I tempi sono dettati da eventi esterni e interni alla politica. La mia opinione è che quelli esterni saranno quelli decisivi, mentre i giochi di partito, corrente, gruppo, clan e fazione in realtà proveranno a rallentare questo processo. Su tutto aleggia l'incognita chiamata Berlusconi: cosa farà? Dalla sua risposta alla crisi del Pdl – e voglio sottolineare Pdl, il partito e non altro – dipende la sopravvivenza del suo esecutivo. Le risposte del Cavaliere finora sono state altalenanti e – nella mia visione – non sufficienti per stringere i bulloni di un movimento con molte anime e troppe correnti.  In ogni caso, in questo articolo non voglio discutere del Pdl in sé, cosa che ho già fatto nei giorni scorsi e mi ripropongo di fare ancora quando ci saranno novità - ma dei movimenti delle seconde linee del bipolarismo italiano. Fini, Tremonti e Vendola, in questo scenario sono i pezzi della scacchiera da tenere d'occhio. Esistono poi una serie di outsider "esterni" alla politica – primo fra tutti Mario Draghi, il governatore di Bankitalia – che a tempo debito entreranno in scena, ma per ora nel gioco dei re, dei fanti, delle torri, degli alfieri, delle regine, dei cavalli e dei pedoni, ci sono loro tre. E che gioco... Gianfranco Fini. È l'alfiere della situazione. I suoi movimenti sono puramente trasversali, in diagonale. Un pezzo temibile della scacchiera quando si gioca con la tattica del Palazzo. Ne ha dato ampia dimostrazione quando ha piazzato la sfiducia al sottosegretario Nicola Cosentino facendo pesare il suo voto decisivo durante la conferenza dei capigruppo. Quella mossa di Fini – non ne do una valutazione morale o etica – mi ha impressionato per la prontezza e la machiavellica cattiveria (qualità che in politica è importante) con la quale è stata perseguita.   Fini è determinato. Può piacere o meno ma il presidente della Camera in queste cose è uno che ci sa fare. La sua posizione è criticabile e per molti versi distruttiva, ma se facciamo analisi politica e non tifo da stadio, non possiamo non vedere che in questo momento si è piazzato al centro della scacchiera e influenza ogni mossa degli avversari. Un pezzo di An l'ha lasciato, un altro pezzo vorrebbe far pace con lui, un pezzo del Pdl l'ha avvicinato. I numeri sono piccoli, la truppa parlamentare è esigua, ma alla Camera è sufficiente per mettere in ponte la maggioranza sui provvedimenti che contano. Chi non si capacita di come Berlusconi non riesca a imporre la sua maggioranza contro la sparuta minoranza finiana, ignora completamente il gioco parlamentare che è fatto di assenze fisiologiche, tattiche, grande casualità e improvvisazione. Ogni votazione può essere una sorpresa. Fini non farà mai cadere il governo, non ne ha la minima intenzione. Il presidente della Camera sta conducendo una guerra di logoramento che richiede pazienza, furbizia, conoscenza del regolamento parlamentare, e il trasversalismo che l'alfiere fa valere quando si gioca a scacchi. Se non avesse rotto con Berlusconi in maniera così lacerante, Fini avrebbe ereditato il centrodestra italiano, ma ha preferito percorrere un'altra strada, molto più difficile, minoritaria, strettissima. Non credo possa raccogliere il consenso del blocco sociale che ha votato finora Berlusconi e il centrodestra, ma in futuro bisognerà comunque fare i conti anche con lui. Avrà per forza di cose un ruolo di peso nella terza repubblica. Giulio Tremonti. È il pezzo da novanta, la regina. Quello osservato e decrittato da tutti in ogni sua mossa. Tremonti è un genio della contabilità nazionale, un solista di livello assoluto. È quest'ultima caratteristica a renderlo forte e debole nello stesso tempo. Ieri ha concesso un'intervista a Repubblica sulla quale si stanno esercitando schiere di novelli cremlinologi. Io posso solo notare che l'intervista è stata concessa al giornale "nemico" del Cavaliere, il vero oppositore della maggioranza berlusconiana. La scelta di Tremonti è significativa. Il ministro dell'Economia parla con tutti, scegliere la tribuna di Repubblica in questo momento ha un grande significato. Giulio sotto questo aspetto non è condizionabile da nessuno e questo in ogni caso non è certo sufficiente per accusarlo di "intelligenza con il nemico". Tremonti esclude governi tecnici, boccia le larghe intese, dice che non c'è nessuna alternativa a Berlusconi e che l'Europa non approverebbe un cambio di cavallo a Palazzo Chigi. Fin qui siamo nell'ordinaria amministrazione della comunicazione politica. Il punto davvero notevole della chiacchierata del ministro con il giornale di Ezio Mauro è il riferimento esplicito, senza tentennamenti alla questione morale nel partito e nella politica tout court. Per lui non c'è una mela marcia ma "una cassetta di mele marce" e pur salvando l'albero e il frutteto Tremonti auspica su questo punto dolente "un discorso politico serio anche in casa nostra". L'intervista di Massimo Giannini al ministro dell'economia è importante per i segnali che lancia verso il futuro, per il discorso politico alto in cui Tremonti eccelle, per la presenza di una visione generale che a tutti gli altri possibili candidati a un postberlusconi per ora manca. Riuscirà Giulio a farsi strada in un partito balcanizzato come l'attuale Pdl? Impresa difficile finché il professore non cederà la via al politico, nel senso che a Tremonti finora è mancato lo sviluppo corale del suo pensiero politico. Le sue relazioni con gli altri capicorrente del suo partito sono altalenanti quando non assenti. I suoi alleati migliori sono e restano i leghisti e questa comunque è una carta non da poco perché alla fine proprio il Carroccio, in caso di crisi e scenario da transizione, potrebbe dare a Tremonti la chance di andare a Palazzo Chigi. Se mai avverrà, sarà quella la sua partita decisiva per il domani non da ministro a 24 carati ma da leader e futuro capo di Stato. Nichi Vendola. Nell'opposizione è davvero l'unica cosa nuova che si fa notare all'orizzonte, disinvolto e spiazzante, il cavallo della scacchiera. Mentre il Pd è un partito di rassegnati, lui lancia la sua candidatura alle primarie nel centrosinistra. Il suo dinamismo e la sua tenacia sono impressionanti, il suo discorso politico è un misto di berlusconismo (non si offenda, è un complimento, significa che ci sa fare con il marketing politico) e utopismo della vecchia ma sempre valida sinistra che fu. Vendola ha battuto Massimo D'Alema e il sistema di potere del dalemismo là dove è più forte, in Puglia. Si è imposto contro gli apparati, ha governato la Regione con una buona dose di cinismo e ha resistito ad attacchi pesantissimi che su di lui si sono manifestati in varie forme, compresa quella giudiziaria. Ha in mente un progetto "fusionista" della sinistra che prevede la fine di fatto del Partito democratico così com'è. Ha contro tutti i vecchi ragazzi di Berlinguer, ma proprio questo è il suo punto di forza, costituisce il vero appeal presso un elettorato che non ne può più dei soliti nomi, delle solite facce, delle solite dichiarazioni, dei soliti riti di un'opposizione in perenne seduta di autocoscienza. Ha limiti? Certo che ne ha. Il suo ego è smisurato e questo potrebbe portarlo a compiere errori di valutazione fatali, non ha un apparato vero e consolidato che può fargli da sponda per ammaestrare il Pd, ma le cose sono più forti degli uomini e dalla sua gioca una crisi profonda del Pd, in termini politici e finanziari (le casse del partito si stanno prosciugando) che alla fine lo metterà naturalmente in corsa per la leadership del blocco d'opposizione. Allo stato attuale, non c'è un candidato più forte di lui per correre nel 2013 verso Palazzo Chigi con le insegne della sinistra. Sono questi i pezzi che si muovono sulla scacchiera. In giro ci sono molte torri che s'arroccano, una miriade di pedoni che tentano di non essere mangiati e cercano vie di fuga, ma soprattutto c'è un re, Berlusconi, che ha un gioco di difesa ancora molto forte e una capacità di disporre degli altri pezzi più grande di tutti gli altri. Per ora la mossa del matto non ce l'ha in tasca nessuno.  

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