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Il realismo di Gianni e Renata

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«Se la manovra non passa, andiamo a casa”: la sintesi scelta ieri da Silvio Berlusconi per illustrare il voto di fiducia sulla manovra è la più evidente conferma di quanto Il Tempo aveva titolato: “Rissa Italia”. Certo, chiunque conosca il Cavaliere sa che a casa vorrebbe piuttosto mandarci qualcun altro, e che la sua, più che un preavviso di rinuncia, è la minaccia di elezioni anticipate. Cosa che, secondo lui, taglierebbe con un colpo secco i nodi che stringono la maggioranza. Per gli aficionados della materia, si tratta anche di un segnale a Gianfranco Fini; ma francamente non apparteniamo a questa schiera, e dunque riportiamo il discorso a dove è nato: la manovra. Oggi il premier vedrà i governatori delle regioni ed i rappresentanti dei sindaci; lo farà a palazzo Chigi marcato stretto da Giulio Tremonti. Il vertice con Berlusconi, e non solo con Tremonti ed il responsabile degli Affari regionali Raffaele Fitto, era stato chiesto insistentemente dagli enti locali, di destra e di sinistra. Un atto più politico che pratico, perché sempre Tremonti ha chiarito che quanto chiesto alle regioni “rappresenta il 3 per cento dei 170 miliardi delle loro disponibilità, mentre l'amministrazione centrale, cioè i ministeri, hanno già fatto la loro parte quanto a risparmi e sacrifici”. Il ministro ha ragione; però il muro contro muro non giova a nessuno, e politicamente è un suicidio se si vuole davvero portare a casa il federalismo fiscale. Questo il Cavaliere lo sa benissimo, ed infatti, dopo avere lanciato da palazzo Grazioli segnali di disponibilità (“Una sola mia parola potrebbe suonare come un invasione di campo a danno di Tremonti”), alla fine ha più che volentieri convocato i governatori. Anzi, con molti di loro si è già incontrato. Tra questi Renata Polverini, che schierata per lealtà assieme agli altri, sta tuttavia da tempo trattando sia con Berlusconi sia con Tremonti per limitare i danni per i cittadini laziali. Stessa cosa sta facendo il sindaco Gianni Alemanno. Vediamo perché la Polverini, scegliendo un profilo battagliero ma soprattutto realista, può conseguire risultati importanti. Il suo obiettivo non sono tanto i tagli della manovra, ma, come detto fin dall'inizio, il piano di rientro dal debito sanitario ereditato dalle giunte precedenti. In base al patto di stabilità, dovrebbero scattare gli aumenti sulle addizionali Irap (più 0,15%) ed Irpef (più 0,3).   Solo per l'Irap significherebbe una tassa sulle imprese, e sul lavoro, che raggiungerebbe il 4,97 per cento, un carico insopportabile e inspiegabile in una regione che ha da anni un Pil superiore alla media nazionale e che ora potrebbe trainare la ripresa. Un carico, inoltre, sproporzionato, visto che tra le regioni colpite il Lazio sopporterebbe il 60 per cento dell'intero aumento. Ma non solo. Mentre i governatori protestavano e gli aquilani manifestavano, la Polverini si incontrava con Tremonti per illustrare le misure di austerity varate dalla sua giunta in un mese e mezzo. Misure che avrebbero già prodotto tagli per 300 milioni, rispetto ad una maggiore spesa di 1,2 miliardi causata dalla giunta Marrazzo nel 2009. Cifre ovviamente da verificare ed infatti già al vaglio della Ragioneria. Stesso discorso per Alemanno, il cui obiettivo è di aumentare i 300 milioni di dotazione annua per Roma: anche qui ricordiamo che c'è un debito pregresso certificato dalla Corte dei Conti che sfiora i 12 miliardi. Naturalmente anche il sindaco non si limita a chiedere, deve pure lui impugnare le forbici. Questo metodo ci sembra assai più produttivo delle parole grosse.   Più produttivo non solo per il Lazio e Roma: secondo il Tesoro, l'impatto negativo della manovra è di mezzo punto di Pil nel triennio per tutta Italia, percentuale che nel Lazio rischia di raddoppiare causando un effetto paradossale: le maggiori entrate da addizionali (378 milioni l'anno; 1,13 miliardi nel triennio) sarebbero più che superate dai minori introiti fiscali. Secondo stime ufficiose, se l'effetto depressivo costasse al Lazio un punto di Pil (1,7 miliardi) e calcolando una pressione tributaria tra cittadini e imprese del 40 per cento, avremmo un minore introito nei tre anni di due miliardi. Anche sottostimando di un terzo l'impatto, il minore incasso per il fisco sarebbe di 1,4 miliardi a fronte degli 1,13 ottenuti con le addizionali. Fate un po' voi i conti.  

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