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E ora spunta il rinvio a settembre

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano

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All'indomani dell'ok del Senato alla fiducia sul disegno di legge sulle intercettazioni, la polemica non scema. E ora sono i parlamentari che siedono sugli scranni di Montecitorio ad alzare la voce e a puntare il dito contro maggioranza e governo. E se a Palazzo Madama i più agguerriti oppositori del disegno di legge sono stati i senatori dell'Idv, alla Camera saranno i deputati del Pd a indossare l'elmetto e a sparare a zero. L'ordine di scuderia parte dal segretario Pier Luigi Bersani che annuncia: «C'è da combattere». Ma non è l'unico. A ruota segue, per esempio, la minaccia del vicesegretario Enrico Letta: «Per la maggioranza sarà battaglia. Un vero Vietnam». Proteste a parte, l'obiettivo principale che i Democratici vogliono raggiungere è quello di far slittare la trattazione del testo sulle intercettazioni a settembre. A chiederlo, preannunciando di voler spedire una lettera in proposito al presidente della Camera, Gianfranco Fini, e alla presidente della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno, è proprio il capogruppo del Pd a Montecitorio, Dario Franceschini: «Il Pd non accetterà nessuna forzatura. Non vengano soffocati i tempi del dibattito». E, subito dopo, ecco formalizzata la richiesta: «Il ddl è stato un anno e 15 giorni al Senato e prima ancora 11 mesi a Montecitorio. Essendo per di più peggiorato nei suoi contenuti noi chiediamo che sia discusso approfonditamente come prevede il regolamento». A questo punto, l'unico modo per poter anticipare la calendarizzazione del ddl, ha continuato il segretario del Pd, può essere un accordo a maggioranza in conferenza dei capigruppo «che non è possibile considerato che noi siamo contrari». Altrimenti servirebbe una decisione monocratica del presidente della Camera che però Franceschini spera non ci sia. L'obiettivo di Berlusconi però resta quello di licenziare il testo entro luglio. E pur di ottenere il risultato, almeno secondo diverse fonti del Pdl, il Cavaliere non esiterebbe a porre la fiducia anche a Montecitorio. Ma su questo rischia di trovare la ferma opposizione di Gianfranco Fini e dei suoi uomini che, prima timidamente, ora in modo esplicito, criticano il compromesso raggiunto, parlando apertamente di un «brutto testo».

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