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Quelli che non pagano

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Lamanovra è servita: ci sono quelli che pagano, quelli che protestano, quelli che potrebbero caricarsi il peso dei sacrifici ma non lo faranno. Salvo colpi di scena. Di sicuro non sfuggiranno gli statali, che dovranno «resistere» qualche mese in più prima di andare in pensione e accettare una liquidazione a rate. Quelli che restano nei loro uffici avranno la vita più difficile visto che le assunzioni sono bloccate. Ci sono poi quelli che non pagano. Innanzitutto le banche. Tassate in mezzo mondo ma non in Italia. Poi i politici. «Daremo il buon esempio», hanno detto deputati, senatori e ministri. Per alcune settimane non si è parlato d'altro: la norma, inserita nella bozza della manovra, prevedeva di ridurre del dieci per cento la parte di stipendio dei parlamentari sopra gli ottanta mila euro. Ma è stata depennata. Del resto Camera e Senato dispongono dell'autonomia di bilancio. Dovranno decidere loro se e quanto tagliare gli stipendi. Eppure nella manovra del governo un articolo intitolato «Riduzione dei costi degli apparati politici» c'è, come anche il tanto discusso taglio del dieci per cento. Ma riguarda soltanto gli esponenti di governo «che non sono membri del Parlamento nazionale». Meglio di niente, si penserà. Il punto è che ministri e sottosegretari che non sono stati eletti sono dieci. Bello sforzo. Non resta che sperare che i presidenti Fini e Schifani prendano in mano le forbici nei prossimi giorni. Poi ci sono i magistrati. Quelli in servizio da tempo guadagnano tanto ma non vogliono riduzioni e sbraitano contro il governo. Inoltre c'è la questione delle toghe più giovani che rischiano di pagare il conto più salato. Non solo: protestano i medici e i farmacisti. Se a questo si aggiunge che le Regioni, a cui hanno tagliato i trasferimenti, non si risparmiano leggine per promuovere i dipendenti, allora il quadro è completo. Piove sempre sul bagnato. A. D. M.

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