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Tra Fini e il premier la tregua è finita

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Gianfranco Fini a Porta a Porta. Sullo sfondo un'immagine di Silvio Berlusconi

Silvio sta perdendo la pazienza

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«Tregua armata», è il titolo della puntata di Porta a Porta. E alla fine vorrebbe cambiare titolo ma forse quello più azzeccato potrebbe essere «tregua finita». Ospite in studio Gianfranco Fini, intervistato - ma sarebbe meglio dire punzecchiato - da Bruno Vespa, che in più di un'occasione lo mette in difficoltà al punto che verso la fine della trasmissione, lo stesso presidente della Camera prova a uscire dall'angolo e tenta di mordere. Nell'ora di intervista non c'è una frase chiave. O meglio, ce n'è più d'una. Ma il senso è che delle tre apparizioni tv di Fini (domenica In mezz'ora, martedì Ballarò e ieri) l'ultima è quella in cui è apparso più duro, più sferzante, a parole conciliante ma sprezzante nei toni. Dice che sarà leale al governo ma non starà zitto. Non pensa a collaborare ma a confrontarsi. Comincia già a fare la vittima, parla di epurazioni ai suoi danni. E ha un chiodo: Silvio Berlusconi.   «Il premier rispetti le mie opinioni. Io sbaglio in tantissime circostanze, a volte sbaglia anche Berlusconi», dice il presidente della Camera. E ripete: «Mi spiace doverlo dire, ma Berlusconi non può dirmi "se vuoi fare politica devi dimetterti da presidente della Camera". Rivendico il diritto di dire che non sono d'accordo». Vespa lo rintuzza: «Credo intendesse dire che dovesse dimettersi da presidente della Camera se voleva fare una corrente». E lui si riprende: «A me non è parso, direttore. E comunque credo che quello che è accaduto lo abbiano visto in tanti». Poi attacca: «Non sono diventato presidente della Camera in ragione di un concorso vinto o di un cadeaux del presidente del Consiglio, ma per una storia politica che rivendico, che è quella di una destra senza bava alla bocca. Non ho nessuna intenzione di dimettermi e fino alla noia, finché sarò presidente, difenderò le prerogative del Parlamento». Ribadisce che non vuole rompere: «Io non ho nessuna intenzione di litigare e men che meno di divorziare. Sempre che Berlusconi rispetti le mie idee». Si mostra rassicurante, dice che rifiuta la tesi che ci sia una tregua perché a suo giudizio non c'è stata alcuna guerra. Ma il suo volto cambia, s'incattivisce, quando gli vengono ricordate le solite critiche che gli vengono rivolte: «Le mie opinioni dissenzienti non sono finalizzate a far vincere la sinistra come qualche imbecille dice, ma sono finalizzate a rendere il Pdl molto più simile ai grandi partiti del centrodestra europei, dove si trova una gamma di posizioni che non mette in discussione la leadership ma rende più efficace il partito». E il Cavaliere è il sottofondo di quasi tutta la puntata. Per esempio Fini torna a dire: quella della giustizia «è una riforma indispensabile, ma questo non può significare denigrazione della magistratura, che è un baluardo della legalità». E persino se Silvio dice qualcosa di condivisibile il presidente della Camera replica: «Sulle riforme Berlusconi ha mutato opinione. Le riforme occorrono: e su alcune riforme si possono avere, come sulla bozza Violante, delle larghe maggioranze». Dice che il partito «non è un impiccio», difende a spada tratta i suoi uomini. Più di tutto uno, Italo Bocchino: «Bocchino ha fatto un gesto doveroso e onorevole con le dimissioni. Se domani (oggi, ndr), come potrebbe accadere, il gruppo lo sfiducia o accetta le sue dimissioni, allora dico in modo pacato: altro che partito liberale di massa... Mi chiedo "cosa viene addebitato a Bocchino"? Di aver sabotato il gruppo con imboscate? Non credo proprio. Viene addebitato di essere sulle mie posizioni? Spieghino qual è la ragione per cui accettano le dimissioni». Mette le mani avanti: «Siamo alla caccia alle streghe se si pensa che il governo è andato sotto per le assenza dei finiani». Ammette che a stare con lui adesso «si rischia di avere problemi». Infine, l'ultimo avvertimento: «Il logoramento nessuno lo vuole. Il primo a sapere del rischio del logoramento è il presidente del Consiglio, perciò prenderà le misure».  

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