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Luca e Gianfry, la politica scopre i suoi "fichissimi"

Luca Cordero di Montezemolo (D) e Gianfranco Fini

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Vanno e vengono. Fanno e disfano. E alle calcagna hanno interpreti e futurologi. Ormai da mesi sono il motore della discussione politica nostrana. E si compiacciono. Perché sono «fichissimi». Da un lato il presidente della Camera Gianfranco Fini, dall'altro il numero uno della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo. Li vedi in tv, nei convegni, negli incontri ufficiali. Dicono e glissano. Criticano spesso le cose che si fanno ed esaltano quelle che non si faranno mai, che tuttavia sembrano sempre meglio. Daranno vita a un partito? Magari anche con Casini? Quel famoso grande centro in cui vorebbe tuffarsi pure Rutelli? Ai posteri l'ardua sentenza. O sarebbe meglio dire ai «postumi» perché questo tran tran ingarbuglia le cose più di quello che sono già.   Ieri Gianfranco e Luca si sono ritrovati a un convegno dell'università Luiss. Uno ha aperto, l'altro ha chiuso il dibattito. Il tema: «Generare classe dirigente». Quello giusto. E a proposito di centro, sul palco è il direttore de La7, Antonello Piroso, a insistere con Fini. Lo fa con un battuta: «Presidente, ora che torna a Montecitorio passa per il centro?». Il presidente della Camera non afferra, resta interdetto. L'ex numero uno della Fiat, invece, seduto nella poltroncina accanto, spiega la battuta: «Sta dicendo centro politico, Gianfranco». Fini allora sorride e fa a Piroso i complimenti per lo scherzo: «Chapeau», gli dice. Poi dalla platea chiarisce: «Non so bene che strada farò ma il centro sicuramente lo bypasso. Ci giro attorno - e con le mani disegna un tondo nell'aria - ma non vado lì». Invece Montezemolo pensa davvero alla politica? Lui sfugge: «Potrei scendere in politica se vincessimo 10 Gran Premi di fila e il Mondiale. Putroppo la vedo difficile». E da «fichissimo» precisa di non avere alcuna nostalgia per la Prima Repubblica, cioè «per i suoi riti, le sue alchimie e soprattutto le sue barocche geometrie politiche». Luca vola alto e indica i due ingredienti della ricetta per far ripartire l'Italia: «riforme e dialogo». Poi insiste: «Tengo molto al concetto di un avvicendamento della classe dirigente», della necessità di un «ricambio generazionale». L'ha fatto alla Fiat, perbacco. Ha ritenuto «giusto lasciare il passo ad un giovane che come rappresentante degli azionisti potrà seguirla dall'inizio alla fine ed è pienamente all'altezza del suo ruolo». Peccato che la Fiat fosse proprietà della famiglia di quel giovane. Poi insiste: i politici devono guardare lontano «perché sono ormai quindici anni che sentiamo parlare a intermittenza di dialogo e riforme, salvo poi essere costretti ad assistere a campagne elettorali sempre più violente e deludenti». Anche Fini non delude e avverte: «Se si continua a privilegiare la tattica si può puntare solo a un immediato ritorno di consenso. Se si guarda invece in modo prospettico bisogna mettere in conto che gli effetti positivi non saranno immediati, ma nel più lungo periodo». Inoltre esorta a cambiare le cose: «La consapevolezza della crisi nelle classi dirigenti deve essere stimolo per intraprendere con maggiore decisione la via delle riforme». Una rivoluzione è annunciata, dunque. Ma dove sono stati Fini e Montezemolo negli ultimi quindici anni?

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