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Il Pdl è già pronto al modello francese

Gaetano Quagliariello

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«I testi scritti sono nei cassetti. Non è certo questo il problema, basta poco per tirarli fuori». Il presidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello risponde così a chi, dopo gli annunci di Berlusconi.  gli chiede se la maggioranza abbia già pronto qualcosa sul tema del presidenzialismo. Poi aggiunge: «Comunque il termine presidenzialismo ha due significati. Uno tecnico, che fa riferimento al sistema presidenziale americano dove il potere esecutivo e quello legislativo sono separati. E uno più di senso comune, che fa riferimento all'elezione diretta del capo dell'esecutivo o del presidente della Repubblica. Quando parla di presidenzialismo Berlusconi fa riferimento a questo secondo significato». Come e quando realizzarlo, però, è tutto da decidere. Certo, le idee non mancano. Dopotutto si tratta di un argomento che periodicamente riemerge del dibattito italiano. E Massimo D'Alema che oggi tuona dalle pagine dell'Unità («Abbiamo bisogno di un garante al di sopra delle parti non certo di un Capo dello Stato partigiano»), dimentica che la sua Bicamerale fu ad un passo ad avviare una riforma presidenzialista dello Stato. E dimentica anche che lo scorso novembre, partecipando ad un dibattito sulla caduta del muro di Berlino, si lasciava sfuggire una frase del tipo: «Meglio il presidenzialismo con un Parlamento che bilancia». Comunque basta ripercorrere a ritroso la storia della sinistra per trovare presidenzialisti illustri (da Giuliano Amato a Luciano Violante). In molti hanno accarezzato l'idea per un po'. Poi, rendendosi conto che una riforma in questo senso avrebbe potuto favorire Berlusconi, hanno tirato i remi in barca. Il problema è tutto qui. L'odiato Cavaliere. In fondo, quando si parla di presidenzialismo, è chiaro che nel centrodestra si guarda soprattutto al modello francese. «Per me - spiega il capogruppo del Pdl in commissione Affari Costituzionali della Camera Giuseppe Calderisi - presidenzialismo è elezione diretta del Capo dello Stato che a quel punto, avendo un mandato politico, dovrebbe avere funzioni di governo. Come Sarkozy. Si potrebbe partire dalla bozza che Cesare Salvi realizzò per la Bicamerale, apportando alcuni correttivi come la durata del mandato, che deve coincidere con quello della legislatura». Per Calderisi il presidenzialismo è «necessario per bilanciare il processo federalista in atto» e, soprattutto, potrebbe far parte di un «pacchetto di riforme puntuali assieme al taglio del 20% del numero dei parlamentari e alla riforma della giustizia». Interventi che potrebbero «essere realizzati in un anno così che già nel 2013 si voterebbe con le nuove istituzioni». E sulla necessità di bilanciare il processo federalista punta anche il vicepresidente del Senato Domenico Nania. «L'elezione diretta di chi governa - spiega -, magari secondo il modello francese che mantiene intatto il ruolo del Parlamento, è una spinta centripeta indispensabile in una democrazia che si estende in orizzontale con l'attuazione del federalismo. È un modo per contenere la pressione dei partiti del territorio che farebbero la differenza in un governo di coalizione. In ogni caso, secondo me, la prima riforma da fare è approvare una norma antiribaltone che stabilisca che, quando un premier è sfiduciato, si torna a votare. In questo modo si stabilizzerebbe il sistema eliminando trasformismi, inciuci e congiure di palazzo». Insomma, un testo scritto ancora non c'è, ma sembra piuttosto chiaro che, se approvato, il presidenzialismo in salsa Pdl avrebbe un risultato immediato e scontato: spingere Berlusconi verso il Colle. A quel punto toccherebbe a lui scegliere il premier che, poi, dovrebbe ottenere la fiducia del Parlamento. E così, forte del consenso popolare, Silvio potrebbe continuare a gestire per altri 5 anni il centrodestra. Un'ipotesi che spaventa e non poco il centrosinistra che, non a caso, preferirebbe il premierato o l'elezione diretta di un Capo dello Stato che mantenga i poteri attuali. Quagliariello, però avverte: «Abbiamo sempre detto che le riforme si fanno in Parlamento. L'opposizione può partecipare e alla maggioranza spetta il compito di consentire questa partecipazione, ma non possono esserci diritti di veto».

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