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Disordine pubblico

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Il Consiglio Superiore della Magistratura e l'Associazione nazionale magistrati contestano il ministro della Giustizia, il quale a sua volta critica il Csm che gli contesta il potere ispettivo sul Tribunale di Trani che a sua volta non fa vedere granché agli ispettori del Guardasigilli il quale ringrazia il Presidente della Repubblica per il suo messaggio sulla giustizia applaudito anche dal vicepresidente del Csm Nicola Mancino che a sua volta invita il ministro Alfano ad ascoltare Napolitano, il quale aveva già invitato saggiamente tutti a rispettare indagini e ispezioni che a loro volta sono contestate dalla maggioranza (le indagini) e applaudite dalle opposizioni (le indagini), ma anche veltronianamente contestate dalle opposizioni (le ispezioni) e applaudite dalla maggioranza (le ispezioni). Mal di testa? È l'effetto dell'ottovolante Italia. Cari lettori, ho appena iniziato a descrivervi il disordine pubblico in cui è piombato il nostro Paese grazie ai poteri irresponsabili, quelli non eletti dal popolo, che hanno deciso di infischiarsene del Parlamento (che fa leggi), del Governo (che fa decreti legge e guida il Paese), del Presidente della Repubblica (garante della Costituzione), del ministro della Giustizia (che attua la politica del governo in materia e obbedisce al dettato costituzionale), del corpo elettorale (organo costituzionale dello Stato) e di ogni altra istituzione che non abbia il fine di disarcionare il Cavaliere. Il via libera a questa gigantesca operazione di demolizione è stato dato implicitamente quando la Corte Costituzionale ha bocciato il lodo Alfano. In quell'occasione la Consulta aveva non solo cancellato lo scudo per le alte cariche lasciando Berlusconi di nuovo in balìa della magistratura militante, ma aveva fatto saltare il ponte che unisce i due palazzi che idealmente si guardano: il Quirinale e il Palazzo della Consulta. La bocciatura del lodo infatti arrivava dopo che il Presidente della Repubblica aveva messo nero su bianco la sua firma sul provvedimento e in ben due occasioni aveva scritto che il Quirinale e i suoi uffici non avevano ravvisato problemi di costituzionalità. La decisione della Corte Costituzionale ai miei occhi è stato il primo passo verso l'anarchia istituzionale. Da quell'istante le procure e i tribunali di ogni specie ordine e grado hanno cominciato una danza macabra sul corpo della Repubblica Italiana. Hanno cominciato ad accreditare un serial killer della mafia (Spatuzza, uno che con una mano scioglieva cadaveri nell'acido e con l'altra mangiava un panino) come un oracolo dal quale apprendere la verità sulla nascita di Forza Italia e le stragi; il figlio di Vito Ciancimino, Massimo, è stato ascoltato nella veste di depositario di segreti conosciuti da terze persone che oggi non possono confermare perché riposano in pace; l'inchiesta sul G8 e i grandi appalti ha puntato su due servitori dello Stato - Gianni Letta e Guido Bertolaso - dipingendoli come i burattinai di una Spectre e non come il cuore di quella Protezione Civile che ha dato una casa in pochi mesi ai terremotati dell'Aquila; a Trani hanno intercettato tutto quel che capitava a tiro dalle parti della Presidenza del Consiglio, dei ministeri vari, della Rai e dell'Autorità delle Comunicazioni senza chiedersi se non fosse il caso di guardare la legge, interrompere ogni indagine e trasmettere tutto al tribunale dei ministri. Nel mezzo di questo frastuono penale la campagna elettorale s'è trasformata in un pasticciaccio che ha leso i diritti del corpo elettorale. E qui è entrato in scena il martello pneumatico della giustizia amministrativa. Tar e Consiglio di Stato hanno deciso che oltre quattro milioni di votanti nella provincia di Roma non possono votare il Pdl perché un paio di Gianni e Pinotto del centrodestra sono arrivati in zona Cesarini, hanno incasinato le liste e per soprammercato si sono fatti placcare sull'uscio del tribunale dai radicali. Lista del Pdl fuori dalle elezioni in omaggio a un diritto formale che si fa barba di quella cosa chiamata democrazia sostanziale e della «piena rappresentanza» evocata, ancora una volta, dal capo dello Stato. Il quale, conscio della gravità e del vulnus che si veniva a creare verso il corpo elettorale, controfirmava un decreto del governo a sua volta vanificato dalle decisioni dei parrucconi amministrativi che hanno preso come bibbia il formalismo giuridico di Hans Kelsen e non la democrazia dei partiti e dei cittadini sul quale è fondata la nostra repubblica. Spero di sbagliarmi, ma temo che la situazione stia precipitando a vite. C'è chi vuole il caos e pensa di lucrarci sopra politicamente. È scattata l'ora degli avventurieri. Ho letto la dichiarazione di un parlamentare, dice che «si vuole uccidere la Seconda Repubblica». Visto il clima, mi sembra ottimista. Mario Sechi

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