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Agli ispettori del Ministero della Giustizia no; ai giornalisti (non a tutti, ma solo ad alcuni selezionati), sì.

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Èla legge ad impedire che possano essere visionati atti coperti da segreto». Ineccepibile la motivazione. Ma resta un interrogativo: chi, quello steso materiale che dovrebbe essere esaminato dagli ispettori, ha permesso che arrivasse ai giornali i quali lo hanno già abbondantemente pubblicato tanto per sputtanare, ancora una volta, il presidente del Consiglio ed altri suoi interlocutori a carico dei quali è ben difficile ravvisare ombre di reati per le cose che si sono dette al telefono? Non lo sapremo mai. Come in tante altre occasioni. E a poco vale ribadire che i titolari delle inchieste sono tenuti non soltanto al massimo riserbo, ma anche alla custodia degli atti coperti da segreto istruttorio. Ormai questa civilissima preoccupazione non trova più risposta. Nessuno paga per la fuga di notizie e le risultanze delle intercettazioni finiscono regolarmente sui giornali anche quando non hanno rilievo penale. Per di più, a nessuno viene in mente che il capo del governo, in quanto parlamentare, non può essere intercettato e qualora finisca in una intercettazione «passiva» la conversazione dovrebbe essere immediatamente distrutta o, quantomeno, resa indisponibile. Ma non sembra che la circostanza impensierisca più di tanto gli «ascoltatori» i quali, per non incorrere nei guai, passano tutto ai sostituti procuratori della Repubblica che poi ne fanno l'uso che credono, potendo contare sull'impunità, come abbiamo sperimentato tante volte. Sicché, nell'ultimo caso alla nostra attenzione, alcune telefonate tra Berlusconi, Minzolini e Innocenzi diventano elementi per montare un «caso» e addirittura aprire un'inchiesta giudiziaria, solo perché in esse si parla di alcune trasmissioni televisive oggettivamente ostili al premier delle quali non dovrebbe, secondo gli inquirenti, preoccuparsene minimamente e lasciare che si dica tutto il male possibile di lui, del suo partito, dei suoi amici e dei suoi affari. È scandaloso che questo noiosissimo e devastante film venga proiettato per l'ennesima volta sullo schermo della politica italiana. Lo stravolgimento delle regole e l'ingerenza pesantissima nella vita privata di soggetti i quali non c'entrano nulla con un'indagine giudiziaria che riguarda tutt'altro, nella quale fortuitamente incappa un membro dell'Autorità per le Comunicazioni, ripropone il tema della regolamentazione delle intercettazioni. Ma il vero scandalo è che la legge tante volte annunciata è ferma perché la maggioranza parlamentare non ha ancora ben chiaro in quale direzione unitariamente muoversi. Speriamo che da Trani venga la spinta decisiva. Se accadrà, paradossalmente alla scombiccherata inchiesta potremmo riconoscere perfino qualche merito.

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