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E il "salva liste" rimane in sospeso

Gianfranco Fini

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In Aula a Montecitorio c'è Rocco Buttiglione a presiedere l'assemblea e tocca proprio a lui comunicare che il decreto «salva-liste» approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, inizierà il suo iter parlamentare proprio partendo dalla Camera dei Deputati. Il governo non si fa intimorire. È consapevole che il decreto ha vita lunga e, prima di azzardare qualsiasi mossa, cerca di capire i risvolti che il provvedimento potrebbe avere soprattutto dopo che il Tar ha respinto, con un'ordinanza, la richiesta del Pdl di riammettere la lista di Roma dalle elezioni regionali. L'unica certezza è di andare avanti, non recedere. Ma è inutile nascondere che anche a Montecitorio nel centrodestra regna una sostanziale incertezza. Si attende oggi come si pronuncerà l'ufficio centrale elettorale. Se la lista Pdl sarà ammessa si andrà avanti con il provvedimento. Alla Camera ieri si discuteva di beni confiscati alla mafia. Pochi i deputati presenti, nei banchi del governo c'era la neosottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, Laura Ravetto, di fatto al suo esordio nel nuovo ruolo. Di sicuro si prospetta un clima di dura battaglia tra maggioranza e opposizione soprattutto dopo che il Pd ha annunciato un duro ostruzionismo. Una decisione maturata dal fatto che i democratici ritengono il governo, colpevole di aver compiuto uno strappo insanabile nei rapporti istituzionali presentando il decreto. E allora promettere uno sbarramento di fuoco su tutte le proposte dell'esecutivo come quella sugli enti locali che, per accordi in conferenza dei capigruppo, doveva trovare il voto conclusivo oggi per ora di pranzo. Ma così non sarà. Slitta tutto. Ma questo non preoccupa il governo che fa bel viso a cattivo gioco a va avanti. Se la lista del Pdl sarà definitivamente esclusa la maggioranza non lascerà questa ulteriore arma nelle mani dell'opposizione. Ora intanto, in base a quanto stabiliscono i regolamenti la parola passa alla conferenza dei capigruppo che dovrà riunirsi per assegnare alla commissione competente l'analisi del decreto voluto dall'esecutivo. Una competenza che in questo caso spetta alla commissione Affari Istituzionali che, una volta licenziato, lo trasmetterà al voto dell'Aula per poi essere spedito al Senato per l'ultima votazione. Il tutto con un tempo limite di 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale avvenuta il 6 marzo scorso. Infatti, se il Parlamento non riuscisse a "convertirlo" in legge entro due mesi dalla pubblicazione il decreto-legge perderebbe efficacia sin dall'inizio annullane gli effetti prodotti.

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