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Fini, Rutelli e le crisi parallele

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Nel Pdl l'argomento che ha tenuto banco in questi mesi è l'andamento (assai altalenante in verità) dei rapporti tra Berlusconi e Fini. Tra i massimi dirigenti del partito è il tema che preoccupa molti, tra i militanti e gli elettori la questione è meno drammaticamente sentita, ma non per questo irrilevante. Per capire cosa c'è dietro questa storia occorre ragionare freddamente, senza farsi troppo condizionare dagli aspetti emotivi e caratteriali (che pure contano).   Anche perché la politica mal si concilia con sentimentalismi di varia natura, essendo, come è noto, materia per soggetti dai nervi saldi. Vogliamo farci un'idea dunque di quel che accade a destra? Ma sì, proviamoci. Per farlo però decidiamo di guardare a sinistra, dove qualcosa sta accadendo. Che cos'è infatti il Pd? Un grande partito di sinistra-centro cui hanno dato vita due soggetti, uno più grande (i Ds) e uno più piccolo (la Margherita). Passato attraverso una dura sconfitta elettorale nel 2008, il neonato partito «veltroniano» sta cercando faticosamente un'identità ed è già al suo terzo segretario in un anno (prima Franceschini e poi Bersani).   L'amalgama non è facile da trovare, tanto che diversi esponenti moderati e cattolici già se ne sono andati, tra cui il co-fondatore Rutelli, che alla nascita del Pd era il leader della Margherita, cioè esattamente quello che era Fini per Alleanza Nazionale. A gennaio 2010 dunque ci ritroviamo con il capo del secondo partito cha ha dato vita al Pd che ha mollato gli ormeggi e il capo del secondo partito che ha fondato il Pdl che sta sul piede di guerra.   A questo punto ci dobbiamo fare due domande. La prima è questa: siamo di fronte a una coincidenza o tra le due situazione c'è un nesso? La seconda domanda è: finirà per Fini come per Rutelli? Per la prima questione possiamo dire serenamente che il caso non c'entra proprio. Lasciare la guida di un partito del 10-15 % dei voti è operazione dolorosissima, poiché significa rinunciare alla gestione quotidiana di un potere enorme e assai gratificante, che va dall'indicazione di persone per incarichi di grande rilievo (Rai, Eni, Enel eccetera) fino alla gestione di un grande apparato politico che si estende dalle Alpi a Pantelleria, fatto di persone, circoli, emozioni e controversie da risolvere. Pd e Pdl hanno altra guida e altre leve, che Fini e Rutelli possono (il secondo non più) al massimo provare a muovere di concerto con altri, mentre prima agivano in grande autonomia (Fini soprattutto). Quanto alla seconda domanda la risposta è meno semplice. Non c'è dubbio che Fini corre il rischio di sentirsi del tutto fuori casa nel Pdl, ma è ancora vero che quello che lo unisce al nuovo partito è molto più di quanto lo divide. Se la «casa dei moderati» nata a marzo dello scorso anno saprà tenere insieme Berlusconi e Fini significa che la destra italiana è più avanti della sinistra. A occhio sembra essere così.  

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