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Bersani rimette l'elmetto

Pier Luigi Bersani (fotomontaggio Il Tempo)

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Probabilmente era inevitabile. In fondo, come sottolineano nelle stanze del Pd, come si fa a dialogare con Silvio Berlusconi a poco più di due mesi dalle elezioni regionali? Così non colpisce più di tanto la reazione del segretario Pier Luigi Bersani che, appena terminato il vertice di Palazzo Grazioli sulla giustizia, commenta: «Sarebbe questa la prima mossa del "partito dell'amore"? Andando avanti a testa bassa sui suoi provvedimenti il governo sa bene che mette a repentaglio una discussione di sistema sulle riforme istituzionali, ivi compreso il rapporto tra Parlamento e magistratura».   E ancora: «Non bastano i giochi di parole o le finte benevolenze verso l'opposizione a nascondere la realtà dei fatti. La nostra disponibilità è quella dichiarata più volte: si sospendano i provvedimenti che governo e maggioranza hanno annunciato e si discuta subito dell'ammodernamento del nostro sistema». Insomma, Bersani torna ad indossare l'elmetto e ricomincia la sua guerra contro Berlusconi. Ma l'impressione è che si tratti soprattutto di una scelta tattica. Da giorni, infatti, il segretario era sotto il fuoco incrociato di avversari interni ed esterni. In molti avevano mugugnato per il suo assoluto silenzio nell'ultimo mese costringendolo, appena tornato da una vacanza a New York, a convocare i giornalisti per ribadire la linea del partito. Eppure anche in quell'occasione l'atteggiamento nei confronti della maggioranza era apparso, ai suoi detrattori, troppo accondiscendente. «Siamo disponibili e intenzionati a una discussione immediata sulle riforme istituzionali» aveva spiegato. Invitando poi il governo a non invadere il Parlamento «con uno tsunami di iniziative per mettere a riparo il premier». Troppo poco per gli «irriducibili» del Pd. Che, giusto per lasciare Bersani sulla graticola, hanno cominciato a criticarlo sul metodo di selezione dei candidati per le prossime Regionali. E al coro del solito Dario Franceschini si è unita, un po' a sorpresa, anche Rosy Bindi. È a questo punto che il segretario ha capito che bisognava fare qualcosa. Anche perché l'appuntamento elettorale di fine marzo non è esattamente una passeggiata. Il Pd deve dimostrare di aver invertito la rotta e non può certo farlo con una campagna elettorale in cui le lotte intestine rubano la scena alla battaglia contro il centrodestra.   Così ieri Bersani ha deciso di tornare ad alzare la voce. Un modo come un altro per dire: ci siamo e non molliamo. Più un segnale ai suoi che alla maggioranza. Tanto che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti commenta: «Povero dialogo, se la paura delle ormai vicine elezioni regionali per Bersani fa 180 invece del solito 90. Se il nuovo leader del Pd, invece di fare battutacce sul partito dell'amore, aprisse un confronto sereno con la maggioranza scontenterebbe forse Di Pietro e Franceschini ma farebbe certo felici gli italiani che vogliono le riforme». Insomma, la possibilità di un confronto sembra tutt'altro che tramontata. «Con la sua dichiarazione - spiega un deputato Pd dietro promessa di anonimato - Pier Luigi ha voluto ribadire che siamo disponibili al dialogo, ma il governo deve cercare di venirci incontro. Ad esempio, un conto è il processo breve, un altro il legittimo impedimento. Uno stravolge il sistema della giustizia, l'altro blocca i processi del premier. Noi siamo contrari ad entrambi, ma c'è una differenza». A parziale conferma che la posizione dei Democratici è ostile, ma fino ad un certo punto, ci sono anche le dichiarazioni di Anna Finocchiaro che, durante la trasmissione Otto e Mezzo, spiega: «Non so se il dialogo tra maggioranza e opposizione sulla giustizia sia a rischio, ma gli annunci di oggi (ieri ndr), le decisioni prese in un vertice con il premier e non in Parlamento, dire che si vogliono fare in tempi rapidi e insieme il processo breve, il provvedimento sul legittimo impedimento e sul Lodo Alfano costituzionalizzato, mi sembra un po' troppo, suona un po' come un dito nell'occhio. Noi siamo pazienti ma vorrei che la nostra pazienza fosse ripagata con il rispetto». Qualcuno, maliziosamente, fa notare che le decisioni prese a Palazzo Grazioli non sono niente di più di ciò che si sapeva già. Legittimo impedimento e processo breve sono due testi già incardinati alla Camera (il primo) e al Senato. Il loro iter legislativo è già partito. Mentre il lodo Alfano costituzionalizzato è stato messo in stand by in attesa di capire se può essere trovata un'intesa sul testo Chiaromonte-Compagna sull'immunità. Come se non bastasse fonti della maggioranza assicurano che il processo breve che uscirà dal Parlamento ricalcherà il testo Finocchiaro del 2006 (tant'è che viene già indicato come una legge sulla «ragionevole durata dei processi») e che il vero obiettivo è il via libera al legittimo impedimento. Nel Pdl sanno che non possono mettere mano alle riforme istituzionali se non assieme al Pd. Bersani ha bisogno di avviare un processo riformatore per costruire l'alternativa al governo Berlusconi e liberarsi finalmente del fardello di Antonio Di Pietro. Per riuscirci, però, ha bisogno di non rimanere schiacciato alle prossime Regionali.  

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