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Tra guardie e ladri vince la burocrazia

Campo nomadi

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Cosa avrebbe fatto o detto Aldo Fabrizi se, due giorni dopo aver arrestato Totò, se lo fosse ritrovato un'altra volta in mezzo ai piedi piatti? Dopo tutto quel fiato sprecato a corrergli dietro, ci sarebbe sicuramente rimasto male. E male ci restano poliziotti e carabinieri oggi quando, almeno nella metà dei casi, la loro personale "guardie e ladri" si risolve con un nulla di fatto. I numeri parlano chiaro. Basti pensare che su 100 arresti eseguiti dai militari dell'Arma nell'arco di 10 giorni, il 50% delle direttissime che seguono finiscono con una liberazione immediata, il 20% con misure cautelari alternative al carcere e una minima parte con l'espulsione dal territorio nazionale, anche se, a dire il vero, rispetto ai primi mesi dell'anno scorso la percentuale delle espulsioni è aumentata. A che prezzo, però. E non tanto per il prezzo del biglietto aereo da pagare ai clandestini. Il pacchetto sicurezza voluto dal ministro degli Interni Maroni, oltre all'introduzione del reato di clandestinità, per cui la pena è ora di 7 mesi di reclusione, cerca di mettere una «toppa» al sistema giudiziario che s'accontentava di «consigliare» agli extracomunitari a zonzo, attraverso il foglio di via, di lasciare il Paese. Un ammonimento che non impauriva certo chi, per venire in Italia e prima ancora di prendere questa decisione, ne aveva viste di cotte e di crude. «Ora - spiega Massimo Montebove, portavoce del Sap (Sindacato autonomo di polizia) - i giudici sono obbligati a mandare i clandestini nel Cie più vicino per l'identificazione». Anche se, precisa, «qualche giudice particolarmente "bonaccione", se si tratta di persone al primo arresto, non pregiudicate, opta ancora per la via più semplice». Ed è proprio nell'obbligo del trasferimento nei Cie che il prezzo sale. «Perché, facciamo finta di essere a Roma, se nel Cie di Ponte Galeria non c'è posto bisogna scortarli con l'auto a Napoli o addirittura, è capitato, a Genova». Ciò significa straordinari, capitolo delicatissimo quando si parla di forze dell'ordine, «ma soprattutto significa togliere dalla strada pattuglie preziose». Così come è prezioso il morale della truppa nella quotidiana battaglia contro il crimine. Crimine che in una città come Roma si rivela spesso e volentieri nelle sue forme più blande, specchiandosi nel volto di un senegalese in scarpe da tennis che vende borsette e cd contraffatti al Pantheon, nel vetro della bottiglia rotta che un romeno alcolizzato brandisce a piazza Vittorio contro un gruppo di pachistani o nello «spadino» di un tunisino alle prese con il bauletto di uno scooter a Termini. Allora, Antonio e Nicola, rappresentanti delle forze dell'ordine che hanno appena montato il turno di pomeriggio e decidono di fare un giro a Termini, cosa dovrebbero fare vedendo il tunisino che armeggia sul bauletto? Dovrebbero arrestari, ovviamente. Ma potrebbero anche far finta di non vedere e passare oltre. Perché sanno, se lo fermano, il calvario che li aspetta. Prima di tutto una raffica di accuse di razzismo: «Perché io? Cosa fatto, solo leggere targa. Solo perché africano tu fermare me... e così via», e perché no, prendere pure un paio di spintoni cercando di fargli mantenere la calma. A quel punto, visto che lui si rifiuta di mostrare i documenti, anzi dice che non ce l'ha, devono portarlo in caserma o in questura, dove ci vogliono 3 o 4 ore per sbrigare tutti gli accertamenti: impronte digitali, fotosegnalazione, elaborazione dati per capire chi è. Intanto si è fatta sera. Il pomeriggio è passato in ufficio invece che in strada. L'ufficio stranieri a quell'ora, inoltre, è chiuso e bisogna aspettare la mattina seguente. Ad Antonio e Nicola tocca passare la notte a fare da balia all'extracomunitario. Senza contare che da qualche ora sono scattati gli straordinari di cui possono farne solo tot e non oltre, al mese. «Il problema maggiore - dice Montebove - sta nella mancanza di organizzazione della rete burocratica e nella carenza di personale». Quando fermi qualcuno - raccontano Antonio e Nicola - si mette in moto un giro vizioso per cui si finisce per rompere le uova nel paniere a tutti. Quello in ufficio, che stava per finire il turno, dovrà restare. E se la mattina dopo hai il turno, tra le lunghe file all'ufficio immigrazione e l'aula di direttissima, qualche collega sarà costretto a prendere il tuo posto in strada raddoppiando il proprio turno. Finite nel primo pomeriggio le pratiche all'ufficio immagrazione, via di corsa verso il Tribunale per la convalida dell'arresto. Ma il traffico di Roma è implacabile. Antonio e Nicola accendono la sirena e spingono sull'acceleratore per arrivare in orario. Niente da fare. Le 24 ore obbligatorie dal fermo per la convalida suonano mentre passano l'ultimo semaforo rosso. Antonio e Nicola si guardano: proviamo, magari il giudice ci infila tra una direttissima e l'altra. Forse. I due agenti il loro dovere l'hanno fatto.

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