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E Di Pietro straparla: «Attenti, Silvio è il Diavolo»

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Undiavolo al governo che fa solo il proprio interesse, con il quale non si può trattare e che va relegato all'inferno. E dunque va cacciato da Palazzo Chigi. Una riconferma colorita dell'ostilità al premier, ma soprattutto un chiaro messaggio ai dirigenti del Pd accusati di voler fare patti con Satana. Certamente se la questione non fosse seria, ci sarebbe da sorridere per questa innovazione nel linguaggio politico. Ma dietro c'è una strategia. C'è l'interesse personale e di partito che prende il sopravvento su quelli della comunità. Da anni tutta la sinistra italiana è vissuta con l'ossessione di Berlusconi. Ha costruito alleanze (talvolta anche vincenti) legate solo dalla comune ostilità verso il premier. Il prezzo l'hanno pagato gli italiani, perché poi i governi sono naufragati nella confusione. Una strategia, che almeno stando alle ultime dichiarazioni dei leader del Pd, non ha pagato, non paga e dunque va modificata. Per ristabilire un clima più sereno, per tornare a fare politica affrontando temi concreti. Da qui le aperture al confronto per una stagione di riforme da fare in Parlamento. E il Pdl ha salutato con soddisfazione questa disponibilità. Certamente siamo alle affermazioni di volontà, il percorso è difficile, già in passato il fallimento ha accompagnato le migliori intenzioni. Ma indubbiamente ci troviamo davanti a una scelta, la volontà di operare una svolta nella politica dell'opposizione anche se naturalmente nessuno può dire come si svilupperà. Ma qui torna in campo Di Pietro. La marcia per confluire nel Pd, ipotizzata ai tempi di Veltroni, non è mai iniziata. Anzi, il contrario. Di Pietro in realtà gongola pensando al dialogo tra maggioranza e opposizione. Sa bene che anni di predicazione antipremier hanno lasciato il segno tra i militanti e gli elettori di centrosinistra. Sa che c'è una prateria su cui scorazzare politicamente. Più il Pd mostra segni di ragionevolezza e più è facile parlare di inciuci, di connivenza con l'odiato nemico, di tradimento. Tutto buono per le elezioni. Tutto buono per dettare le condizioni nelle prossime regionali. Tutto buono per aumentare il proprio peso politico. È una minaccia per Bersani, che sa bene che con il nemico in casa (perché tale è ora l'Idv) non può spingersi oltre, in ogni momento deve respingere le accuse di inciucio, di accordi o cedimenti alla volontà dell'avversario. E Di Pietro può appropriarsi della bandiera del vero e del solo oppositore. Del resto non c'è manifestazione di protesta sotto la sede del governo che non ci sia lui o qualche suo discepolo, magari tanto irresponsabile da minacciare, per un pugno di applausi, di tirare statuette al premier. Paladino di tutti coloro che sono insoddisfatti, che protestano. Così il problema vero non è per Berlusconi o il Pdl. Ma per la nuova dirigenza del Pd che ha un partito alleato che alimenta l'insoddisfazione e offre una casa alternativa. Un rischio che Bersani però deve correre. Non guida un partito corsaro, ma una forza che ha la legittima aspirazione a guidare il Paese. E che dunque non può non avere comportamenti responsabili nell'interesse dei cittadini. E che dovrebbe avere il coraggio di sfidare la manovra di Di Pietro, del tanto peggio tanto meglio. Di ostacolare chi privilegia il partito alla Nazione. Fare le riforme serve all'Italia. Di destra e di sinistra.

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