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Lazio, Zingaretti se ne lava le mani

Nicola Zingaretti

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C'era una volta il Modello Roma. Cioè un laboratorio politico inventato da tre persone (Veltroni, Bettini e Mondello) che di fatto decidevano la «direzione» della Capitale. Non mancavano i mugugni, le accuse al sindaco di dispotismo (illuminato?), le contrarietà di fronte all'impianto, giudicato spesso ideologico, di Bettini. Fatto sta che Roma cresceva (tanto da raggiungere la vetta del Belpaese), tanti politici senza arte né parte conquistavano posti di rilievo, il centrosinistra sembrava destinato a rafforzarsi senza sosta, tanto da «mangiarsi» una parte sostanziosa di Forza Italia folgorata da re Walter. Poi è arrivata la resa dei conti: il sindaco Veltroni ha tentato l'impresa impossibile contro Berlusconi, Rutelli ha perso contro Alemanno e il Modello Roma si è improvvisamente dissolto. Dopo quasi due anni, è stato soppiantato dal «Modello Anarchia», ultima «invenzione» del centrosinistra. Ovvero non c'è più una direzione, nessuno ha trovato nuove strade, si va avanti per forza di inerzia. Non si sa più chi tiene il banco. Mentre il Pd è in cerca di autore si finisce per rimpiangere le certezze del Modello Roma, tanto osteggiato (spesso da quelli che a suo tempo ne hanno goduto pur non avendo meriti) che non si sa nemmeno il perché. Ma le Regionali si avvicinano. Ci saranno alla fine di marzo del 2010. E il Pd non poteva che partorire la soluzione più complessa che offra la natura politica: far dimettere il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, eletto nel 2008, per «trasferirlo» alla sfida regionale contro Renata Polverini. Una scelta che mostra tutti i limiti del Partito democratico e che è doppiamente perdente. Perché apre un altro fronte (la Provincia, con tanto di possibile lite tra Udc e Idv) e perché mette a rischio l'unico esponente che si è preso la briga di ripartire dalle ceneri del Modello Roma per costruire un'alternativa. Ma Zingaretti non è uno che si nasconde dietro una generica «indisponibilità». L'ha detto chiaramente: sono pronto a scendere in campo nel Lazio se sono tutti d'accordo. Ovvero se sia l'Udc sia l'intera coalizione di centrosinistra ritengono che questa sia la strada giusta. Ma non è così perché l'Udc, almeno ora, sembra più vicino al Pdl, Sinistra e Libertà non vuole che Zingaretti si dimetta e l'Idv non tollera di cedere il passo all'Udc, tanto che oggi diserterà il vertice di coalizione. Peggio di così non è possibile. Ieri il presidente di Palazzo Valentini è stato netto: «A guardare il quadro politico che si sta determinando escludo che si possa procedere sulla mia candidatura». E ha insistito: «C'è una potenzialità della coalizione, forte e competitiva». Insomma si può ricercare il candidato alla Regione «senza aprire il capitolo Provincia». Infine sulle posizioni espresse dall'Unione di Centro Zingaretti ha spiegato: «L'Udc ha giustamente proposto un problema di carattere programmatico al quale andrà data risposta. Ripeto, si prefigura uno scenario che a mio giudizio consiglia di non aprire un altro fronte e di procedere invece verso l'individuazione al più presto di una candidatura che può benissimo guidare il centrosinistra». Dunque tornano in campo i deputati Giovanna Melandri, Enrico Gasbarra, Linda Lanzillotta. Anche se il nome nuovo è quello di Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant'Egidio. Il Pd avrebbe commissionato ieri alcuni sondaggi per valutarne la popolarità e la fiducia dei cittadini. Si vedrà. Ma qui in gioco c'è qualcosa di più che una candidatura alle Regionali. Il futuro di un partito.

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