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«Super partes», ormai è sinonimo di sinistra

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«Saròsuper partes» lo dicono tutti all'inizio del proprio mandato (da Capo dello Stato, Presidente del Consiglio, Regione, Provincia, sindaco, comunità montana, amministratore di condominio, garante di Authority). «Non è stato super partes», lo dicono tutti gli oppositori, alla fine di quel mandato. In mezzo a queste due affermazioni, speculari e bipartisan, ci finiscono tutti: padri nobili, intellettuali, tecnici immacolati e fini costituzionalisti i quali, una volta eletti da qualche parte, vengono trattati alla stregua di obbedienti vassalli di un partito. Anche perché la definizione di «super partes», deve essere obbligatoriamente condivisa tra le due (o più) fazioni, pena l'inesistenza. Alla luce di questa premessa, basterebbe fare un piccolo esperimento. Chiedere a due politici di diverso orientamento di fornire non dieci, ma un paio di nomi di personalità «veramente» super partes. Forse Valentino Rossi, ma non è detto. La società è spaccata come una mela, manca un comune sentire e nessuna istituzione appare pienamente legittimata. Pochi giorni fa Silvio Berlusconi ha detto papale papale: «È chiaro a tutti che in Italia non c'è nessuno che possa considerarsi super partes», ricordando le origini comuniste dell'attuale presidente della Repubblica. Subito il quotidiano La Stampa ha fatto un sondaggio su internet fra i propri lettori, chiedendo: «Siete d'accordo?», e il risultato è stato la dimostrazione plastica della realtà: hanno vinto i no, ma per 53 a 46. I giornali in questi giorni sono pieni di super partes, primum inter pares, primum super pares. Alla fine siamo sempre lì, alla metafora orwelliana della Fattoria degli animali, dove gli animali - liberatisi dell'odiosa tirannia umana - si erano dati una «costituzione» rigida e democratica, scritta sul muro del granaio, che all'articolo 1 recitava: «Tutti gli animali sono uguali». Poi, consolidatasi la "maggioranza" dei maiali, una manina aveva "revisionato": «Tutti gli animali sono uguali, ma i maiali sono più uguali degli altri». Per essere super partes in Italia, occorrono almeno due requisiti: essere minorenne e provenire da Marte, altrimenti non c'è scampo. L'ultimo è stato Carlo Azeglio Ciampi, fino a ieri presidente rispettato da tutti per la sua fama di servitore dello Stato, che ha sparato contro le leggi ad personam e il «decadimento istituzionale in corso». Fabrizio Cicchitto ha commentato così: «Al coro dei giustizialisti non poteva mancare Ciampi, che peraltro non è mai stato super partes, ma sempre orientato contro di noi». Pensiero non isolato nel centrodestra, magari tenuto sottotraccia per «rispetto istituzionale». Restiamo a Cicchitto. Nel 2005, alla scuola di formazione politica di Forza Italia, a Gubbio, il tabù lo disintegrò, come al solito in pochi secondi, l'allora eurodeputato, Renato Brunetta: «Basta con gente come Ciampi, che non è mai stato votato dagli elettori». I resoconti dei cronisti raccontarono di boati di approvazione da parte della platea e di gelo e imbarazzo nelle prime file, dove sedevano tra gli altri Bondi e, appunto, Cicchitto. In serata Berlusconi stigmatizzò, esprimendo «la mia più totale e assoluta condanna nel tentativo di coinvolgere il Capo dello Stato in piccole polemiche politiche». Però, insomma, i due Cicchitto si elidono. Il presidente dei deputati Pdl non gli ha mai perdonato di non aver trovato una soluzione per far rientrare Craxi in Italia, di aver votato per il governo Prodi insieme ad altri senatori a vita. Ma attenzione, le critiche arrivano da parti inattese, visto che all'ex Capo dello Stato c'è chi ha ricordato di aver firmato, alla fine, le leggi Gasparri o Cirielli. Marco Travaglio, sul Fatto Quotidiano, ha commentato: uno non è mica obbligato, al limite ci sono anche le dimissioni. E se ora l'onorevole Cicchitto dice che «Napolitano, diversamente da Scalfaro e Ciampi, sta svolgendo un ruolo terzo», dove «ruolo terzo» si deduce non sia un sinonimo di «super partes». Ciò per dire che la massima carica istituzionale, di per sé, non garantisce una «terzietà» condivisa. Definire Oscar Luigi Scalfaro e Francesco Cossiga «personalità super partes», oggi, significherebbe solo dare il «là» a cori da stadio e ululati, nelle rispettive curve del centrodestra e del centrosinistra. Non va meglio agli ex presidenti della Corte Costituzionale, in teoria il non plus ultra del super partes. L'altra sera il Tg1 ha intervistato l'emerito Annibale Marini, il quale ha lasciato intendere, nemmeno troppo velatamente, che i pronunciamenti dei giudici equivarrebbero a un'invasione di campo della politica. È insorta l'Usigrai: ci sono tanti emeriti - Onida, Zagrebelski, ecc - perché è stato scelto quello che ha una posizione più vicina a quella del governo? Ci vorrebbe un super «super partes». Forse.

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