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"Non mi dimetto se condannato"

Silvio Berlusconi

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Nessuna intenzione di dimettersi in caso di condanna in uno dei processi a suo carico. A ribadirlo, nelle pagine del prossimo libro di Bruno Vespa «Donne di Cuori» è Silvio Berlusconi. Bloccato ad Arcore ormai da una settimana a causa della scarlattina, il premier fa sapere di essere «pronto a resistere al suo posto» perché un'eventuale condanna rappresenterebbe «un sovvertimento della realtà». Ma Berlusconi è anche «fiducioso» sull'esistenza «di magistrati seri che pronunciano sentenze serie, basate sui fatti». Nessun dubbio invece sull'esito della sentenza Mills, che in Appello ha confermato la condanna per l'avvocato inglese a 4anni e mezzo di reclusione: «Sarà annullata dalla corte di Cassazione», dice indicando nel gruppo "Repubblica-L'Espresso" il "colpevole" del «fango gettato» su di lui e, di conseguenza, «sul nostro Paese e sulla democrazia». Un ragionamento che in serata viene confermato, con alcune precisazioni, dal sottosegretario alla presidenza Paolo Bonaiuti: «Il presidente Berlusconi - afferma il portavoce del premier - nell'intervista a Bruno Vespa ha detto chiaramente che una sentenza che non riconoscesse la sua piena innocenza ed estraneità al caso Mills sarebbe uguale ad un impossibile verdetto che decretasse che Silvio Berlusconi non è Silvio Berlusconi. Sarebbe cioè una sentenza così abnorme e così contraria alla verità da rendere davvero preoccupati sull'utilizzo politico della giustizia contro la verità e contro il responso della sovranità popolare». Insomma, nessuna intenzione di fare un passo indietro, come invece invoca l'opposizione nel ribadire la necessità che il premier si dimetta per farsi processare. Pierluigi Bersani, ironizza sulle parole di Berlusconi parlando di una «prova di grande sensibilità» da parte del premier. E se il Pdci parla di «faccia tosta» del Cavaliere e di governo «da basso impero», i Verdi rimarcano un atteggiamento «assolutamente sprezzante della legge, che arriva in un momento in cui il gradimento dei cittadini rispetto alla politica è nel suo punto più basso». Giuseppe Giulietti, di articolo 21, definisce quello del premier un atteggiamento «eversivo» e fa il paragone con la vicenda Marrazzo affermando che il governatore del Lazio «si è dimesso senza essere neppure indagato». Ma il presidente del Consiglio non solo conferma di voler restare al suo posto ma fa sapere di essere già al lavoro sugli impegni della prossima settimana. Primo punto all'ordine del giorno, la chiusura delle liste per le candidature alle prossime elezioni regionali. L'argomento sarà al centro di un vertice con Gianfranco Fini e Umberto Bossi, forse all'inizio della prossima settimana. Il tema sarà sicuramente approfondito giovedì: è stato convocato l'ufficio di presidenza del Pdl, ed in quella sede si misurerà il punto di mediazione raggiunto con la Lega Nord e all'interno dello stesso Popolo della Libertà. Il Carroccio continua ad insistere nella richiesta di due Regioni al Nord. In pole resta il Veneto e la possibilità di far correre un esponente leghista anche in Piemonte. Scendendo al Centro-Sud, resta da definire la candidatura di Lazio e Campania. I malumori emersi in una parte del Pdl (anche da parte del presidente della Camera Gianfranco Fini) sulla scelta dell'attuale sottosegretario Nicola Cosentino, che negli ultimi giorni ha giocato un ruolo chiave nella tregua tra Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi, potrebbero mettere in forse la sua corsa alla guida della Regione partenopea. Al posto di Cosentino, potrebbe andare Pasquale Viespoli, sottosegretario al Welfare. In questo caso però si potrebbe rimettere in discussione anche la candidatura nel Lazio di Renata Polverini, nome gradito al presidente di Montecitorio, in favore di un esponente di Forza Italia.

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