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«Nessuno a sinistra avrebbe fatto più di Berlusconi»

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«Possiamo parlare quanto vuole, ma sappia che c'è un limite: il fischio d'inizio». Quale fischio d'inizio? «Come quale? Quello di Irlanda-Italia». Antonio Ghirelli è così, un uomo sospeso tra due grandi passioni: il calcio e la politica. In mezzo, c'è il giornalismo, un lavoro che ha oscillato tra i due fulcri della sua vita. Direttore del Corriere dello Sport, ma anche portavoce di Bettino Craxi, quando questi era presidente del Consiglio, e del presidente della Repubblica Sandro Pertini. Oggi guarda allo scontro politico con senso di partecipazione, visto che sul Colle c'è uno dei suoi più cari amici, Giorgio Napolitano. «Ci conosciamo appena dal 1942», ricorda Ghirelli. Erano due di quelli che a Napoli erano chiamati i «magnifici quattro» (gli altri erano Peppino Patroni Griffi e Franco Rosi): erano i ragazzi più promettenti del liceo Umberto di Chiaia. Andarono assieme all'università e lì si aggiunse il quinto, Massimo Caprara. Dopo, si divisero. Chi in politica, chi a fare il regista. Chi con i comunisti e chi con i socialisti. Tenuti però sempre uniti da un'amicizia che ha attraversato due secoli e due Repubbliche. Ghirelli, siamo nel pieno di un durissimo scontro tra Palazzo Chigi e Quirinale. Come lo vive? «Guardi, sono sempre stato un socialista. E lo sono ancora. E oggi più che mai sento il bisogno di moderazione. Sono convinto che un elemento della Prima Repubblica che rimpiangiamo sia la Democrazia cristiana. Con tutti i suoi limiti e tutti i suoi difetti. Ma avvertiamo l'assenza di quel contenere certe durezze e asprezze della politica». In compenso, abbiamo guadagnato il bipolarismo. «Il bipolarismo non si addice all'Italia. Non nego che nella Prima Repubblica ci fosse una democrazia consociativa, di cui non sentiamo il bisogno. Ma c'era un clima che consentiva anche al presidente della Repubblica Pertini, ovvero a uno dei capi dell'antifascismo, di andare ai funerali di Giorgio Almirante. Non è mai mancato il rispetto verso gli altri e il rispetto verso le istituzioni, che oggi invece sembra venir meno». D'accordo, Berlusconi ha detto che lui è il più perseguitato della storia e di fatto nessuno, nelle istituzioni, lo difende. «Non c'è dubbio che una riflessione sulla magistratura bisognerebbe farla. Nella Costituente si decise di non istituire un vero e proprio organo di controllo. Parliamoci chiaro, il Csm è condizionato dai partiti della magistratura che riflettono i partiti politici. È una situazione che andrebbe sanata. Ma questo non consente di non avere rispetto delle istituzioni». Sempre il premier le potrebbe obiettare che non vuole fare la fine di Craxi, che invece scelse questa strada. «Vero, ma Craxi aveva contro tutti i media. Persino quelli di Berlusconi. Il Cavaliere non può sostenere la stessa tesi». Senta, a luglio Napolitano propose e ottenne una tregua nazionale per il G8. Che cosa è successo dopo? «È successo che due partiti, Lega e Italia dei Valori, hanno deciso di esasperare i toni. La Lega andando verso un federalismo spinto al limite del secessionismo. Di Pietro correndo dietro a un giustizialismo fuori tempo e fuori moda. La classe politica in generale non ha saputo reagire». A che cosa andiamo incontro? «Siamo nel bel mezzo di una grande crisi economica, anche se lo ricordiamo poco. Eppure proprio dall'economia vengono degli esempi di grande importanza». A chi sta pensando? «Alla Marcegaglia, donna leader della moderazione. A Marchionne, che ha saputo tenere alto il bel nome dell'Italia. A Draghi, che mi auguro possa giungere ai vertice della Bce». Ma quale può essere la via di uscita? Chiamare qualcuno di questi? «Bisogna moltiplicare i Gianni Letta, coloro che hanno a cuore i destini del Paese». Bisogna far fuori Berlusconi? «No, bisogna convincersi che l'uscita di scena di Berlusconi ci sarà solo e soltanto con il suo assenso, con la sua collaborazione. Non contro di lui. Quando ovviamente anche egli lo deciderà. Per il dopo, immaginiamo tutti un governo di unità nazionale». E Fini? «Penso che la conversione di Fini sia interessante e autentica. Si possono truccare le idee, ma non il linguaggio». Anche lei, come Napolitano, ebbe una conversione analoga? «A cosa si riferisce?». Be' sul «IX Maggio», la rivista dei Guf, i Giovani universitari fascisti, di Napoli, compaiono anche la sua firma e quella di un critico teatrale che si chiamava Giorgio Napolitano? «Vero, dunque chi più di noi può comprendere le conversioni. Noi che avemmo la nostra più forte a diciotto anni, sul finire degli anni '40. E ancora oggi non possiamo negare alcune intuizioni di Mussolini, come i Guf, i Vittoriali, lo stimolo al giornalismo giovanile. Ma vede, non dobbiamo mai cancellare alcune specificità del nostro Paese». Per esempio? «Sto leggendo dell'opera di Leopoldo di Lorena, delle sue riforme nel '700, di come la Toscana fosse già in quel periodo un avamposto dell'Europa. Ecco, dobbiamo essere orgogliosi di tutto ciò». Torniamo all'oggi. Berlusconi vuole andare avanti? «Berlusconi è il prodotto della società post-industriale. Della voglia di successo, dello scoop, del produrre benessere. E dobbiamo ammettere che alcune cose che ha fatto, penso a Napoli o all'Abruzzo, pochissimi nella mia parte politica avrebbero potuto fare». Se dovesse dare oggi un consiglio a Napolitano, che cosa gli direbbe? «Di restare fedele a se stesso. Lui è il meglio che la serietà della politica abbia prodotto». Ma non gli è forse un po' sfuggita di mano la situazione? Ha colpito tanti il fatto che in visita a Rionero, in Basilicata, rispondendo a un cittadino, abbia persino perso le staffe. «Quell'episodio ha colpito anche me. Ma è un uomo che sa ascoltare, non pensa di essere il titolare della verità. È stato il comunista più aperto, meno settario, il primo ad essere riconosciuto all'estero. E ha fatto tutto ciò senza mai sputare addosso alla sua parte politica, magari portandola sulle sue posizioni. Saprà lui come uscire da questa situazione». Non è andato a Messina per non stringere la mano a Berlusconi? «Ma per piacere… Abbiamo parlato di politica, non scadiamo nel ridicolo. E ora mi faccia andare, ché inizia la partita».

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