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Fini dice no all'inciucio

Gianfranco Fini

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Gli hanno dato del «compagno». Del traditore. E del massone, che ci sta sempre bene quando si vuole dare addosso a qualcuno. Gli abbiamo dato, perché anche noi del Tempo non ci siamo sottratti, dell'arbitro imparziale e persino dell'incoerente. Gianfranco Fini ieri mattina, parlando agli studenti dell'Università di Napoli, ha pronunciato poche parole ma estremamente chiare: «Oggi nessuno dice che la maggioranza esce dall'aula del Parlamento, ma tutti dicono che la maggioranza è quella che esce dalle urne perché si vota la coalizione e gli italiani sulla scheda delle ultime elezioni hanno trovato il nome del candidato premier». Non c'è bisogno che il presidente della Camera aggiunga altro. Significa che questa legislatura, almeno dal suo punto di vista, si chiuderà con questo governo. Se cade Berlusconi, si va al voto. Lui, Fini, non si presterà a giochi e giochetti, governi e governicchi, esecutivi tecnici e ipotesi bislacche. Non è poco visto che il presidente di Montecitorio da settimane viene indicato come ultimo angolo della triangolazione che comprende anche Casini e Montezemolo. Un asse a tre che lavorerebbe ai fianchi Berlusconi per farlo cascare e fare spazio a un nuovo governo. Un asse a tre nel quale da ultimo sta provando a infilarsi anche Francesco Rutelli. E se entra Rutelli (che tra l'altro nel suo ultimo libro spara proprio su Fini), Gianfranco si chiama fuori. Non sarà della partita. E visto che anche Bossi non ci sta il Cavaliere può star tranquillo che almeno nella sua maggioranza è difficile che qualcuno, se non qualche singolo, stia lavorando contro di lui. Berlusconi lo sapeva. Lo sapeva almeno da quel 21 settembre, giorno in cui vide in un faccia a faccia il co-fondatore del Pdl a casa di Gianni Letta. E Fini disse chiaramente che non si sarebbe prestato a un'operazione terzista. La sua azione, anche critica, anche di contestazione, era ed è tutta dentro al Pdl. Anche le comparsate alle assemblee dell'Udc erano tattica. E tutto ciò è vero al punto che nessuno ha mai chiesto esplicitamente al principale inquilino di Montecitorio di essere della partita. Tanto meno gli è stata mai offerta la poltrona di presidente di un fantomatico governo con i centristi, Pd e fuoriusciti del Pdl. Il quadro è fin troppo chiaro anche al Quirinale, dove neppure si esclude a priori il ricorso anticipato alle urne. Che in questo momento rischierebbe di portare il Paese in un clima ancora più infuocato e scontroso di quello attuale. Perché la principale preoccupazione di Napolitano è proprio quella di una politica che sembra aver largamente abbandonato il dibattito sui temi e sugli argomenti per guerreggiare solo e soltanto sulle persone. Il duello è sempre personale. «E il presidente - spiega un suo vecchio amico - non può che esser rimasto impressionato dal fatto che persino la sfida all'interno del Pd ormai è diventata uno scontro aperto tra due persone, non tra due visioni del mondo». E non è un caso che proprio ieri Fini, dopo aver preso le distanze da ipotesi ribaltonesche, ha preso le difese del Quirinale rispondendo a una domanda sul bicameralismo: «Le regole dovrebbero essere condivise - ha sottolineato - e necessitano di arbitri imparziali. Nel nostro sistema questi arbitri ci sono: coloro che non lo comprendono e li attaccano dimostrano scarsa sensibilità istituzionale». Una stilettata diretta ad Antonio Di Pietro e ai suoi, le cui accuse rivolte al Colle hanno trovato Napolitano eccessivamente sensibile. Il Capo dello Stato infatti è sempre molto attento nelle sue misure in modo da non attirarsi nessuna critica. Ma Fini non può essere contestato a sua volta di eccessiva protezione del Quirinale visto che la settimana scorsa, per la precisione venerdì, era chiuso nel suo ufficio al piano nobile quando ha sentito il deputato dipietrista Barbato dare in Aula del mafioso al premier. Ha chiamato la sua vice Rosy Bindi che stava presiedendo e l'ha avvisata di quanto avrebbe fatto di lì a qualche secondo. S'è precipitato in Aula, si è seduto al suo scranno e ha pronunciato altre parole altrettanto inequivocabili, stigmatizzando il comportamento di Barbato e annunciando che quanto accaduto sarebbe stato attentamente valutato dall'ufficio di presidenza. E s'è anche giustificato che il presidente da solo non poteva fare di più. Insomma, Fini torna berlusconiano? Forse è troppo. Semplicemente l'ex leader di An si è sempre lasciato andare a critiche a Berlusconi. Ma sempre lontano dalle urne (quando l'ha fatto esplicitamente a ridosso del voto ci ha sempre rimesso le penne). Quando s'avvicinano i momenti topici, quando s'avvicina la pugna o quando Berlusconi è sott'attacco Gianfranco, sino ad ora, è sempre stato al suo fianco.

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