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«È stato il maestro dei giuslavoristi»

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e.Un amico. Un maestro e una guida per tutti noi socialisti». Così Renato Brunetta, ministro della Pubblica Amministrazione e dell'Innovazione, ricorda Gino Giugni, il socialista "turatiano" - così amava definirsi -, spentosi dopo una lunga malattia domenica sera, all'età di 82 anni. Ministro Brunetta, quando ha conosciuto il professor Giugni? «La prima volta che ci siamo visti fu alla fine degli anni 70. Lui era già il "mostro sacro" del giuslavorismo italiano. Io ero solo un giovane professore di economia e politica del lavoro all'università di Padova. Avere l'onore di conoscere lui e quell'altro "mostro sacro" che è Giuliano Amato, mi incuteva un timore reverenziale che ancora oggi faccio fatica a rendere a parole. Alla fine però mi hanno chiamato a lavorare nella fondazione Giacomo Brodolini - il ministro a cui si deve l'approvazione dello Statuto dei lavoratori, scritto proprio da Gino Giugni -. Dedicai alla fondazione quindici anni della mia vita e, proprio in quel periodo, ho ricevuto i più profondi insegnamenti della mia storia di uomo politico». E quando si avvicinò definitivamente a Giugni? «Era il 1983. Le Brigate Rosse avevano appena tentato di ucciderlo a Roma e, in tutta risposta, il partito Socialista decise di candidarlo a San Donà di Piave, nella provincia della mia Venezia, per un seggio al Senato. Io lo aiutai dandogli appoggio logistico, conoscenza dei luoghi dove fare campagna elettorale e soprattutto tutta la mia stima. Logicamente vinse le elezioni e di quegli anni mi rimarrà sempre il ricordo di un uomo sorridente, buono, equilibrato e soprattutto, da buon genovese qual era, parsimonioso». Poi cosa accadde? «Gli altri ricordi li lego al periodo in cui lui venne nominato ministro del Lavoro dall'allora presidente del Consiglio Carlo Azelio Ciampi. Era l'aprile del 1993 e io divenni suo consigliere economico. Con lui condivisi la battaglia per sostenere, in quegli anni difficili, una stagione di vero riformismo. Alla fine le nostre strade si divisero. Io scelsi Forza Italia e lui rimase nell'alveo della sinistra. Ci perdemmo di vista ma il mio affetto e la mia stima sono rimasti sempre immutati». Ha un ricordo di quell'anno vissuto a stretto contatto con il ministro? «Era l'inverno a cavallo tra il 1993 e il 1994. Eravamo a Detroit per un G7 sul lavoro. Io lo accompagnai. Ricordo il freddo che patimmo. Il lago Michigan era ghiacciato e gelida era anche la situazione economica mondiale. Tutti i "Grandi 7" erano chiamati a presentare una storia di successo del proprio Paese e noi raccontammo quello ottenuto in Italia con la concertazione. Quando poi Clinton, sedutosi al tavolo del meeting internazionale, parlò invece dei distretti del NordEst in Italia, capimmo che all'estero piaceva il modello della piccola impresa. Fu una lezione per noi tanto che passammo tutto il viaggio di ritorno dall'America a discuterne». Condivide l'auto definizione di Giugni di essere un socialista "turatiano"? «Devo dire che il titolo che più mi piaceva per lui era "riformista" perché era attento al mondo del lavoro, ai diritti sindacali in fabbrica e soprattutto sapeva guardare alle imprese e al loro rapporto con i dipendenti» Pensa che Giugni sarebbe contento del suo operato? «Penso di si. E credo che sia stato orgoglioso quando, il 22 gennaio scorso, due ministri socialisti quali siamo io e il collega Maurizio Sacconi sono riusciti a riformare il modello contrattuale». A proposito di contratti e rapporti con i sindacati è soddisfatto dell'esito dell'incontro di oggi (ieri, ndr) tra il governo e le parti sociali per discutere della sua riforma della pubblica amministrazione? «È stato un incontro estremamente positivo, costruttivo e su un punto in particolare c'è stata condivisione totale ossia sul fatto che con il decreto legislativo che presto entrerà in vigore si avvia una fase di sperimentazione della durata di due anni con la partecipazione di tutti. In particolare mi ha soddisfatto l'atteggiamento della Cgil che spero, anche per il futuro, non ostacoli le riforme di cui ha bisogno il Paese. E poi mi creda, credo che il vertice sia andato bene anche perché era guidato da una buona stella. Ho voluto in chiusura ricordare il mio grande maestro Giugni». Un successo arrivato in una giornata di grande fermento all'interno del Pdl e di tutta la maggioranza. Crede ancora all'ipotesi di un complotto contro Berlusconi? «Quando parlai di "colpo di stato" avevo supportato la mia analisi con validi elementi. E sono ancora convinto che il premier stia affrontando attacchi immotivati. Se però vuole sapere se credo nell'ipotesi elezioni anticipate le dico che ognuno deve fare il suo dovere. Io amo la democrazia. Credo che il popolo sia sovrano e quel popolo ha voluto che Lega e Pdl governassero. Quindi lasciamo perdere tutte queste chiacchiere che non meritano altro che il mio disprezzo e pensiamo a governare l'Italia».

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