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Scudo fiscale, sì del Quirinale

Giorgio Napolitano

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Il sì ufficiale, con la firma sotto la legge, arriverà oggi. Ma il Quirinale già ieri ha fatto conoscere le motivazioni che hanno portato Giorgio Napolitano a dare il via libera allo scudo fiscale che permetterà, pagando una sanzione del 5 per cento, il rientro dei capitali accumulati all'estero. Il presidente della Repubblica ieri era infatti in Basilicata e firmerà la legge stamani appena rientrerà a Roma. Ma la scelta di far conoscere subito le motivazioni, ha spiegato il Quirinale, deriva da una ragioni «di trasparenza e chiarezza». Soprattutto dopo che ieri, al momento del voto finale della Camera, i deputati dell'Italia dei Valori avevano contestato a lungo, esponendo cartelli con la scritta «vergogna» e urlando «mafiosi». Il Quirinale ha voluto subito sgombrare il campo dall'ipotesi, sostenuta dal centrosinistra, che la legge sia un'amnistia mascherata. «La previsione di ipotesi di non punibilità subordinata a condotte dirette ad ottenere la sanatoria di precedenti comportamenti — ha spiegato — non è ritenuta qualificabile come amnistia in base a ripetute pronunce della Corte Costituzionale». Anche se, secondo il Colle, «la disciplina più correttamente avrebbe dovuto trovare collocazione nel testo originario del decreto-legge anticrisi». Chiarito questo passaggio, il Quirinale è passato ad esaminare gli altri aspetti. Osservando innanzitutto che la complessiva disciplina dello scudo fiscale comporta scelte di merito che rientrano nella esclusiva responsabilità degli organi titolari dell'indirizzo politico di governo.   Aggiungendo che, nello stesso tempo, sono state confermate le correzioni che avevano accompagnato la promulgazione della legge di conversione del precedente decreto. Infatti la legge prevede la punibilità di tutti i reati strumentali all'evasione fiscale per i quali sia stata già esercitata l'azione penale e stabilisce che le dichiarazioni di rimpatrio o di regolarizzazione sono utilizzabili a sfavore del contribuente nei procedimenti penali pendenti e futuri. Quanto al riciclaggio e agli altri reati che la legge esclude dal beneficio della non punibilità — spiega ancora la nota — si è preso atto dei chiarimenti forniti dal Governo in sede parlamentare e dalla Agenzia delle entrate, secondo cui la legge mantiene l'obbligo di segnalare le operazioni sospette di costituire il frutto di reati diversi da quelli per i quali si determina la causa di non punibilità. Giorgio Napolitano, però, era già intervenuto in mattinata, anche se indirettamente, per censurare il comportamento dell'Italia dei Valori che in aula aveva scatenato un clima di polemica violentissimo.   Il Presidente della Repubblica ha accennato con rimpianto ai tempi «in cui non si facevano tanti complimenti tra maggioranza e opposizione, ma ci si ascoltava, ci si rispettava e c'era civiltà nei rapporti tra schieramenti in Parlamento e tra chi faceva la maggioranza e chi l'opposizione». Ma il comportamento dell'Italia dei Valori ha scatenato reazioni dure anche in aula. Italo Bocchino, vicepresidente del gruppo del Pdl, ha rimproverato alla Bindi, che al momento della contestazione dell'Idv presiedeva la seduta, di non essere intervenuta con la dovuta fermezza nei confronti dell'esponente del partito di Di Pietro e ne è seguita una vera e propria bagarre con lancio di accuse reciproche fra maggioranza e opposizione. Quando Gianfranco Fini ha ripreso il posto della Bindi ha annunciato che le affermazione dell'esponente dell'Idv — «oggettivamente gravi» — «saranno oggetto di valutazione da parte dell'Ufficio di presidenza» che «valuterà la gravità, a mio avviso oggettiva, delle frasi dell'onorevole Barbato e deciderà gli eventuali provvedimenti disciplinari da prendere».

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