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In Afghanistan incertezza politica e un governo debole

Hamid Karzai

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Il drammatico attentato in cui sono rimasti uccisi sei militari italiani della Folgore giunge in un momento di grave incertezza politica per l'Afghanistan. Il presidente Karzai è stato dichiarato vincitore delle elezioni, ma sul risultato pesano gravi incognite. Gli osservatori dell'UE hanno espresso dubbi sulla regolarità di un milione e mezzo di voti - di cui poco più di un milione a favore di Karzai ed il resto a favore dello sfidante Abdullah - e, dunque, sulla credibilità complessiva dell'intero processo elettorale. La questione è molto importante perché solleva aspetti di diversa natura. Da un lato c'è un governo, quello Karzai, molto debole, contestato da una fetta cospicua dell'opinione pubblica afghana, compresi larghi settori della sua stessa comunità pashtun al quale il presidente appartiene. Lo testimonia più di ogni altra cosa il dato sull'affluenza alle urne, di poco superiore al 38%, metà del dato registratosi in occasione delle precedenti presidenziali. Dall'altro lato, c'è la Nato che si trova ad appoggiare un governo debole, adesso scarsamente legittimato anche sul piano elettorale, da tempo alle prese con gravi difficoltà nel garantire le proprie funzioni e, soprattutto, la sicurezza dei cittadini in larghi strati di territorio.   Per questa ragione in seno a molte cancellerie occidentali ma, soprattutto, alla Casa Bianca, si stanno insinuando dubbi sempre maggiori sulla presidenza Karzai e sulla sua effettiva capacità di contrastare con successo l'insurrezione che, come dimostra questo grave attentato contro i nostri militari, sembra essere sempre più forte. Il problema vero, però, è che alternative allo stesso Karzai che siano credibili e abbiano un consenso tra la popolazione, soprattutto tra i pashtun, scarseggiano. Il processo elettorale lo ha dimostrato chiaramente. L'unico sfidante serio di Karzai è stato Abdullah Abdullah, ex «ministro degli esteri» del leggendario comandante Massud. Il presidente Obama in questo momento starà sfogliando, non senza una certa frustrazione, la margherita delle alternative sul terreno. Del resto spingere per l'invalidamento dei voti contestati significherebbe probabilmente andare al ballottaggio e ridare così fiato ad Abdullah, ma in un momento del genere fare un favore ad una candidato appartenente ad un'etnia minoritaria in Afghanistan significherebbe esacerbare ancor di più le tensioni che attraversano il sempre turbolento mondo pashtun. Allo stesso tempo, però, chiudere un occhio, e far finta di nulla, vorrebbe dire mostrare all'opinione pubblica mondiale che l'Occidente, quando il tornaconto lo richiede, è disposto anche a sacrificare i principi democratici su cui si fondano le proprie società, e che costantemente vuole esportare nel resto del mondo, in nome della real politik. O meglio, in un contesto del genere, di un meschino, e privo di respiro strategico, "meno peggio".

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