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Le parole sono importanti

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Massimo D'Alema sembra però non ricordare, annebbiato dalla furia polemica contro Berlusconi che lo porta a sbagliare completamente registro nell'analisi della situazione attuale. Dice l'ex presidente del Consiglio, riferendosi anche alla richiesta di risarcimento danni avanzata al quotidiano L'Unità: «Berlusconi appare sempre più intollerante alla critica, intollerante all'esercizio libero di quel ruolo di informazione che in qualsiasi Paese democratico compete alla stampa. E quando si attacca questo principio si colpisce un pilastro della democrazia moderna». E ancora: «Della vicenda Boffo colpisce la ferocia squadristica. Si è pensato di colpirne uno per educarne cento». Difficile accettare quest'analisi da lui, primo ed unico capo del governo in Italia già militante del Pci, lui che nel 1999 sporge querela (poi ritirata) per una vignetta di Forattini, chiedendo contemporaneamente tre miliardi di danni. Non conta tanto l'aver ritirato quella querela, conta averla annunciata in pompa magna. Ecco il solito ed insopportabile «doppiopesismo» della sinistra di casa nostra. Gli altri dovrebbero ringraziare mentre vengono massacrati, mentre nessuno può osare muovere loro una critica che va oltre il solletico. Dalla situazione in cui ci siamo cacciati si esce soltanto con due operazioni di profonda onestà intellettuale. La prima è quella di accettare (una volta per tutte) l'avversario che vince le elezioni come definitivamente legittimato a governare per l'intera legislatura. Nessuno deve cercare colpi di mano o ribaltoni (proprio D'Alema ne sa qualcosa, essendo arrivato a Palazzo Chigi grazie ad una maggioranza formatasi in Parlamento ma diversa da quella voluta dagli italiani), tutti debbono agurarsi le durata normale delle legislature (da noi è andata così solo in due delle ultime cinque). La seconda è ammettere che in primavera alcuni hanno passato il segno, accettando, nella foga di attaccare Berlusconi, l'utilizzo di mezzi immorali a fini di lotta politica, quali sono le foto scattate nei bagni o le registrazioni rubate in abitazioni private. Questa roba non può avere cittadinanza in una nazione civile, perché farne uso porta alla guerra senza confini, dove ci sarà sempre qualcuno pronto a dirsi più puro degli altri. Sia ben chiaro: a nostro giudizio la D'Aaddario non avrebbe mai dovuto essere ammessa nella residenza del primo ministro, ma non possiamo fingere di non vedere l'inaudita violenza cui è stata sottoposta la privacy di Berlusconi.Chi ci ha spacciato «schifezze» come giornalismo d'inchiesta ha fatto un pessimo servizio al nostro mestiere e, soprattutto, alla comunità nazionale. Ora però è il momento di guardare avanti. Bene fa il presidente della Camera Fini a mettere in guardia dal livello di caduta cui è giunto il dibattito. Per risalire però occorre un patto tra gentiluomini, pronti a riconoscersi leggittimità reciproca. Fino a quando a sinistra sarà forte (e lo è tutt'ora) la convinzione che Berlusconi usurpa il loro diritto «divino» a governare, non ci sarà spazio per la saggia mediazione auspicata anche da Fini. In realtà però l'obiettivo è a portata di mano. L'Italia ha di fronte il rebus della strategia di uscita dall'anno terribile della crisi mondiale. Il governo deve governare, l'opposizione deve pungolare e prepararsi per le elezioni del 2013. Ci vuole coesione nazionale per renderci più competitivi e pronti alle sfide del futuro. Boffo o non Boffo, urge abbandonare lo schema «D'Addario», quello del killeraggio dell'avversario. Qualcuno faccia il gesto.  

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