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Quel Pd rock e contadino sognato da Bersani

Bersani e Vasco Rossi (Fotomontaggio Il Tempo)

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 I maggiorenti del Pd torturano il calendario nella febbrile attesa dell'11 ottobre. D'accordo, è la data del Congresso, ma chissenefrega. Tutti drizzeranno le orecchie verso la Adriatic Arena di Pesaro, dove Vasco sarà impegnato in una delle sue prime esibizioni del "tour indoor 2009". Ormai è chiaro: complice l'infatuazione rockettara di Bersani, sarà il Signor Rossi a dettare la linea ai Democratici agonizzanti. E poco è mancato che la sinistra si facesse scippare la nuova icona dal deejay Berlusconi, ammaliato e forse catarticamente consolato - per una volta - dal sacro testo della "Vita spericolata". Meno male che il premier, dopo aver mandato in onda l'hit vaschiano nella radio online del Ministero della Gioventù, abbia auspicato per sé un futuro più tranquillo, come cantava a Sanremo il buon Tricarico. Dunque il rocker di Zocca è lì per illuminare il cammino dell'opposizione: servono dei capipopolo, in grado di adunare folle oceaniche. Con Rossi è già un grande passo avanti rispetto all'imboscata Grillo. Ma il rischio è che gli elettori del Pd - anziché ragionare sulle vie d'uscita dall'impasse strategica del partito, o sulle soluzioni per la crisi economica - siano costretti a fare l'esegesi delle canzoni del Nostro, ad agitarle come un Libretto Verde (Rosso non è più il caso) e trovarvi quel "sentire comune" che occorre per traversare il deserto. Il fatto è che Bersani (con quel cognome da cantautore) l'ha messa giù dura con Vasco: non è un semplice fan del più travolgente rocker nazionale. Se Pier Luigi fosse una teeenager, probabilmente gli tirerebbe il reggiseno sul palco. Per sostenere la propria candidatura alle primarie del Pd, Pigi ha tappezzato le città di suoi manifesti: ci leggi sopra quel verso (stampato dopo aver chiesto regolare autorizzazione) della struggente ballata del Nostro: "Un senso a questa storia". Tutti, passandoci davanti, ne canticchiano il seguito: "...anche se questa storia un senso non ce l'ha". Non c'è da sentirsene confortati. Ma Bersani, incurante dell'autogol propagandistico spiega ai critici: «La canzone finisce dicendo che "un nuovo giorno arriverà e che per noi un buon vento potrà alzarsi"». È abbagliato dalla Parola: nessuno riesce a fargli capire che Vasco è sì un grandissimo artista, ma che da tre decenni incarna il prototipo dell'uomo indolente, fuori dagli schermi, beffardamente trasgressivo, talvolta orgogliosamente fancazzista, altre volte ribaldamente qualunquista. Disse un tempo il Signor Rossi: «In Italia ci sono troppi pagliacci camuffati da politici». Il pubblico lo ama per questo, per il suo poetico individualismo, mica perché ci si aspettano da lui formule magiche contro la disoccupazione. Ma Bersani è ormai pervaso dall'idea di far coincidere il ribellismo vaschista al futuro del Pd. L'altro ieri, in un comizio, ha sostenuto allegramente che «parafrasando Rossi, "siamo solo noi" a poter dire le stesse cose al Nord e al Sud». La riverniciatura dell'immagine del cantante è a tratti spassosa. In tempi non sospetti, così specificò il solito Pigi: «Chi sostiene che Vasco è un maschilista non capisce niente. Le donne sanno benissimo che il suo maschilismo è solo un vezzo, un gioco. A far girare il mondo, anche in quelle canzoni, sono sempre loro». Sollievo delle signore del Pd: decenni di battaglie pre e post femministe non sono finite in fumo, si ringrazino Rossi e Bersani, sopratutto in questi tempi grami di veliname sparso. Incalza Pigi, amico di vecchia data dell'altro, anche per via delle comuni radici regionali: «Vasco ognuno lo prende come vuole. Per me prima di tutto è uno di Zocca, un emiliano. Dicevano i puristi che Verdi era bandistico, che Pavarotti era approssimativo. Potrebbero dire che Vasco è largamente imperfetto. Va bene. Ma come mai tutti e tre ti entrano in testa come pallottole? Da dove arrivano quella efficacia, quella capacità di far stare una idea o una emozione in poco posto?». Giusto. Ma a Pigi non basta: «Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di contadino in tutto questo, qualcosa che sapeva di terra». Echi bertolucciani: «La semplicità grezza ed essenziale dei contadini emiliani, dei loro modi di dire, del loro modo breve e forte di afferrare un concetto o un oggetto». Irrefrenabile Pigi, quasi visionario: «Vasco dunque: un emiliano tuttavia diverso dagli altri emiliano-romagnoli dello show. Non di quelli tra la via Emilia e il West, non di quelli stralunati che hanno respirato il Po. Semplicemente un vero romantico». Eccola, allora, la carta segreta di Bersani per le primarie: spazzerà via Franceschini e Marino propugnando il ritorno a quel mondo rurale e vagamente impenetrabile che si intravedeva oltre il Delta del grande Fiume, l'Italia che verrà come una Pianura da risanare e coltivare, meglio non specificare che è Padana. Peccato che il salto sia troppo grande, partendo da Vasco: eroe sì, ma dell'antipolitica dichiarata. Il rock è benzina per la vita di tanti, di generazione in generazione. Ma quasi mai accetta inviti insidiosi a Palazzo. Semmai lo occupa, come fa Bono, che strizza per hobby gli zebedei dei leader mondiali. Da noi, occorre sempre fare attenzione nella scelta della colonna sonora, anche quando la qualità artistica è sopraffina. L'Ulivo adottò la "Canzone popolare" di Fossati, quella con dentro il monito "se c'è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà". Non sembrò, alla lunga, un portafortuna. Peggio andò a Veltroni quando, entrando in campo per la guida del Pd, volle l'inno jovanottiano "Mi fido di te". Quello che conteneva la profetica frase "...cosa sei disposto a perdere?". Ecco.

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