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Dopo il Sud insorge il Centro

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Silvio Berlusconi

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dal triangolo industriale al Nord e dall'assistenzialismo al Sud tanto caro alle mafie». Insomma, non ci sono solo i due estremi. Anzi. C'è un'Italia di mezzo. Ignorata. Spesso dimenticata. Non considerata. Schiacciata dalle pretese di Settentrione e Meridione che a più riprese e in varie fasi della storia hanno sostenuto le richieste di sostegno pubblico in una direzione piuttosto che nell'altra. «Se al Nord - prosegue Rampelli - il problema sono i valici e al Sud le infrastrutture, al centro sono l'ammodernamento del museo degli Uffizi, il restauro del Colosseo, la valorizzazione delle città di fondazione, la promozione di ville e castelli storici, orti, torri, basiliche, opere di architettura e ingegneria. La riscoperta del porto di Ripetta, la ricucitura delle mura Aureliane, pedonalizzare il cuneo verde che va dall'Appia Antica all'Arco di Costantino». Concorda Mario Baldassarri, presidente della commissione Finanze, che rilancia: «Il grande problema sono le infrastrutture. Si pensa continuamente ai collegamenti Nord-Sud e non all'asse Est-Ovest. Con l'altro governo Berlusconi finanziammo il quadrilatero Marche-Umbria con l'Ancona-Perugia, la Civitanova-Foligno, la terza corsia della A14, la pedemontana Fabriano-Sfercia. Tra l'altro, proprio ora che le sto parlando al telefono sto percorrendo uno dei lati del Quadrilatero in macchina». Se esiste una Lega Nord e quasi un partito del Sud, i parlamentari del centro non riescono a fare network. «Negli anni del centrosinistra Dc-Psi c'è stato Forlani segretario della Dc e poi presidente del Consiglio, Merloni ministro dei Lavori Pubblici, De Cocci sottosegretario, Ciampi agli Interni eppure il governo Berlusconi ha stanziato per l'Italia centrale almeno 7 miliardi di euro, il doppio di quanto sia stato fatto negli ultimi venti anni». Gli fa eco Stefano De Lillo, senatore del Pdl: «Anche il Centro infatti ha problemi e speranze, che abbiamo riassunto in un manifesto che a breve sottoporrò al capogruppo in Senato: è il manifesto di un Centro Italia nel quale, accanto al Lazio, vediamo la Toscana, l'Umbria, le Marche e quell'Abruzzo che per ragioni storiche viene considerato come Meridione ma che per geografia e caratteristiche economico-sociali è certamente parte del Centro Italia. Intorno ad un'identità polarizzata sulla vocazione culturale, religiosa, storica, turistica ed agro-ambientale del Centro, vediamo necessario un sistema di infrastrutture fisiche e legislative che possa unire al suo interno un'area che storicamente ha, essa stessa, unito e non diviso il territorio italiano: penso al Quadrilatero autostradale tra Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo ma anche a quel Corridoio Tirrenico che avrebbe dovuto immettere il Lazio nel sistema infrastrutturale europeo». È una mini-rivolta di deputati e senatori? Può darsi. Forse c'è altro se il sindaco della Capitale Gianni Alemanno una settimana fa aveva detto: «Roma non è in ritardo di sviluppo ma deve semplicemente riavere quello che è suo, quello che produce il suo territorio». E poi aveva aggiunto: «Il Lazio ha solo bisogno che vada a regime il motore di Roma Capitale». Di sicuro i segnali di insofferenza attraversano gli schieramenti. Tanto che nei giorni scorsi anche Vasco Errani, presidente dell'Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni, aveva spiegato come «lo sblocco di 4 miliardi per la Sicilia è positivo ma gli impegni presi dal governo riguardano tutte le Regioni. Col governo - ricordava - abbiamo firmato un accordo a marzo, quando le Regioni hanno finanziato gli ammortizzatori sociali in deroga e il governo ha firmato con noi l'impegno di finanziare tutte le Regioni, mano mano sono pronti i Par, cioè i piani di attuazione regionale delle risorse dei fondi per le aree sotto utilizzate». Secondo Errani il fatto che «oggi finalmente il governo dica che finanzia il Par della Sicilia è una buona notizia, ma l'impegno preso a marzo vale per tutte le Regioni, del Mezzogiorno e d'Italia". Un campanello di allarme. Forse da non sottovalutare. È vero che Roma ha avuto dall'attuale governo il soccorso sul buco finanziario del Comune e la conferma dello status di Capitale nel federalismo fiscale. Ma forse l'intera Italia centrale stenta a far valere le sue ragioni per esempio in termini infrastrutturali. Delle 28 opere strategiche che sono nel Dpef infrastrutture non ce n'è alcuna tra le reti ferroviarie (Tav Torino-Trieste, Pontremolese, Brennero, Frejus, Sempione e Giovi), tra quelle stradali ce ne sono solo quattro (asse autostradale Livorno-Civitavecchia, il raccordo anulare di Roma, l'asse autostradale Roma-Latina-Formia, il quadrilatero Marche-Umbria; le altre sono le pedemontane lombarda e veneta, la BreBeMi, la tangenziale Est di Milano, l'autostrada Cisa, l'asse autostradale Salerno-Reggio Calabria, l'asse autostradale Palermo-Messina), una sola tra le reti metropolitane (la metro C di Roma assieme alle M1, M2, M4 e M5 di Milano, le metropolitane di Palermo, Catania, Torino e la regionale campana), nessuna tra le piastre logistiche (sono state finanziate quelle dei porti di Trieste e di Taranto). Forse ce n'è abbastanza per alzare la voce.

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