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Se il buon giorno si vede dal mattino, non c'è da stare allegri.

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All'ordinedel giorno c'era l'analisi del voto europeo e amministrativo. Un po' tardi e anche un po' poco per un partito tutto da costruire e con importanti scadenze davanti a sé, a cominciare dalle elezioni regionali. Ma tant'è. Di riunioni così inutili e deludenti è meglio non farne più: se dovessimo dire che cosa abbiamo discusso e deliberato, non sapremmo che cosa rispondere. I primi timidi, rispettosi tentativi di analisi critiche sono stati subito stoppati dal solito colonnello tuttologo che, con i toni comiziali che gli sono propri, ha invitato «i lamentosi» a lavorare e proporre, perché nel nuovo partito ci sarebbe spazio per tutti. Sarà. Il dato sconsolante è un altro: l'analisi del voto è stata superficiale e ruffiana, una scontata evidenziazione delle amministrazioni e dei seggi conquistati della quale non c'era bisogno, peraltro a più di due mesi dal voto. Il dibattito, semmai, avrebbe dovuto riguardare il motivo per cui, per la prima volta in quindici anni, le strabilianti previsioni demoscopiche non siano state confermate dal voto, perché si è perso qualcosa, in voti e percentuali, rispetto alle elezioni politiche, perché in alcune parti d'Italia abbiamo perso alcune amministrazioni, che invece avremmo dovuto conquistare agevolmente. E invece: tutto bene, tutti bravi, tutti promossi, anche quelli — ben noti in ogni Regione — che ci hanno fatto perdere. So bene che queste mie modestissime e personali considerazioni potranno dispiacere, sopratutto a Berlusconi che questa riunione ha convocato e concluso, ma poiché gli voglio bene — e gliene voglio davvero, perché non ho nulla da chiedergli — preferisco dirgli sinceramente ciò che penso. Le analisi del voto si fanno anche per capire quale strada imboccare per il futuro: abbiamo una linea, una strategia? Avevamo immaginato un Paese finalmente maturo e bipartitico, e invece abbiamo sciupato un anno senza fare le riforme elettorali che avrebbero favorito questo processo. Con una Udc tornata prepotentemente al centro della scena, questo sogno rischia di restare nel cassetto. Riprendiamo il dialogo con l'Udc: su quali basi, con quali tempi, soprattutto con quali prospettive? Questo doveva essere il clou della riunione: se non discute di questo, una Direzione nazionale a che cosa serve? Ha ragione allora Fabrizio Cicchitto quando denuncia di vivere in un partito decerberizzato? Partito del Sud. Sempre il solito colonnello tuttologo aveva derubricato il problema, riducendolo a discarica. Ma un problema serio e complesso come questo non si risolve con una battuta. Certo, oggi sono in molti a cavalcare strumentalmente la bandiera del sud, vecchi e vecchie signore della politica meridionale, per fortuna non molto credibili. Ma il problema esiste, può esplodere e farci perdere più di una regione e, in prospettiva, le prossime politiche. Se emergesse uno sconosciuto Masaniello, in grado di soffiare abilmente sul fuoco dei tanti storici ritardi del Mezzogiorno? Dove discutere di questo, se non nella Direzione nazionale? È vero, non tutto è stato deludente. Gli interventi di Cicchitto e Giulio Tremonti sono stati ricchi di spunti. Poi a un certo punto, nella sala si è materializzato Berlusconi: in forma smagliante, caricatissimo, ha sciorinato i successi, innegabili e straordinari, del governo. Applausi e fine della riunione. Appuntamento non si sa a quando. C'è bisogno di una riunione della Direzione nazionale per passare in rassegna i successi del governo? Può il carisma, la simpatia e l'estro di Berlusconi essere la fortuna e il limite di un grande partito come il Pdl? Caro Presidente, ci siamo assunti il compito di consegnare all'Italia un nuovo, moderno, agile e partecipato partito nazionale, liberale e conservatore. Vogliamo cominciare a realizzarlo? *Deputato europeo

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